Questo articolo è stato pubblicato su AboutPharma online il 29 giugno 2018.
Secondo la Corte di Cassazione, in caso di pubblicità non autorizzata di dispositivi medici (ovvero in assenza della necessaria autorizzazione ministeriale), non è soltanto la società produttrice del device a rispondere del relativo illecito amministrativo (e a essere soggetta alla corrispondente sanzione). È responsabile anche il titolare dello strumento di comunicazione di cui la prima si avvale per diffondere il messaggio pubblicitario al pubblico.
Il caso oggetto del giudizio
La sentenza, pubblicata il 7 maggio 2018, ha sancito questo principio in un caso che riguarda la pubblicità di una pedana oscillante. Si trattava di un dispositivo che vantava effetti benefici per la riabilitazione fisioterapica e altre proprietà. La pubblicità era effettuata a mezzo televisivo: nello specifico, attraverso una televendita.
In questo caso, la Cassazione ha chiarito che la televendita di medical device costituisce una comunicazione pubblicitaria che necessita di autorizzazione da parte del ministero della Salute. Perciò, la sua trasmissione, in assenza di autorizzazione, costituisce illecito amministrativo. In base a questo, la Corte ha sancito la responsabilità del direttore dell’emittente televisiva. Oltre che del produttore del dispositivo.
Con questa pronuncia, la Cassazione ha ribaltato la sentenza con cui il Tribunale di Padova aveva ritenuto che il Testo Unico della radiotelevisione (d.lgs. n. 177/2005) prevedesse la responsabilità sui contenuti trasmessi solo in capo ai direttori dei telegiornali. E non anche ai responsabili di un canale televisivo.
Le motivazioni della decisione
In particolare, la Corte ha richiamando due lontani precedenti, che risalgono al tempo in cui la trasmissione di pubblicità di dispositivi medici senza autorizzazione costituiva un illecito penale. Anche in base a tali precedenti, ha affermato che la pubblicità non autorizzata è imputabile anche al direttore di un giornale o all’amministratore di un’emittente radiotelevisiva. Quindi deve includersi tra i responsabili dell’illecito anche “il soggetto titolare dello strumento di comunicazione del quale ci si avvalga per la diffusione pubblicitaria al pubblico”.
Tale soggetto è stato identificato dalla Corte nel “fornitore dei contenuti”, come definito dal Testo Unico nella versione vigente al momento della commissione dell’illecito. Si tratta cioè del “soggetto che ha la responsabilità editoriale nella predisposizione dei programmi televisivi […] e che è legittimato a svolgere le attività commerciali ed editoriali connesse alla diffusione delle immagini o dei suoni e dei relativi dati”.
Tale definizione corrisponde, secondo la Corte, a quella del direttore responsabile del canale televisivo. Il ruolo di tale soggetto gli impone tra l’altro “di verificare che i contenuti pubblicitari diffusi non violino le norme […] poste a tutela dell’interesse alla correttezza delle informazioni pubblicitarie di prodotti in grado di incidere sulla salute collettiva”. Su tali basi, la Corte ha quindi sancito la responsabilità del direttore del canale televisivo.
Responsabilità del direttore o dell’emittente televisiva?
L’identificazione del “fornitore dei contenuti” nella persona fisica del direttore responsabile lascia molto perplessi. Essa infatti non corrisponde all’indicazione legislativa. Indicazione che, con la locuzione “fornitore dei contenuti”, si riferisce all’emittente a cui è stato rilasciato il titolo abilitativo a trasmettere. La necessità di sanzionare la persona fisica che ricopre l’incarico di direttore responsabile sembra piuttosto un retaggio del passato. Quando la trasmissione di pubblicità non autorizzata costituiva un reato, il responsabile era necessariamente una persona fisica. Dal momento che questa condotta è stata depenalizzata, non si vedono ostacoli ad applicare la sanzione amministrativa alla società editrice del canale tv.
Sarà dunque interessante vedere se il Tribunale sanzionerà come “fornitore di contenuti” l’emittente o la persona fisica che svolge la funzione di direttore responsabile. I giudici di Padova sono infatti chiamati a decidere di nuovo il caso dopo la cassazione della sentenza precedente.
Possibili scenari di responsabilità ai sensi della normativa oggi vigente
La Corte ha applicato a questo caso la normativa in vigore nel momento in cui l’illecito è stato commesso. Tuttavia, secondo la Cassazione, le conclusioni raggiunte sarebbero le medesime anche nel quadro normativo vigente. Infatti, dopo la modifica al Testo Unico apportata nel 2010, il “fornitore dei contenuti” corrisponde al “fornitore di servizi di media”.
Pertanto, se un’analoga vicenda si ripetesse oggi, potrebbe essere chiamato a rispondere dell’illecito, oltre al produttore, anche il “fornitore di servizi di media”. Anche per il “fornitore di servizi di media” valgono le stesse considerazioni espresse in precedenza sulla chiara identificazione di tale soggetto, operata dalla legge, nella persona normalmente giuridica (solo in rari casi una persona fisica può essere autorizzata) titolare del relativo titolo abilitativo allo svolgimento del servizio.
E su Internet?
Il principio qui enunciato sarebbe applicabile anche al caso di pubblicità non autorizzata a mezzo Internet? Come noto, la pubblicità al pubblico di device, nonché di farmaci non soggetti a prescrizione, necessita dell’autorizzazione ministeriale (anche per silenzio-assenso). Qualunque sia il mezzo utilizzato.
Applicando i principi che si possono ricavare da questa pronuncia, si dovrebbe ritenere responsabile per un’eventuale pubblicità illecita il gestore del sito internet in cui la pubblicità è trasmessa. Infatti, solo il soggetto che ha la responsabilità dei contenuti di un sito, e che quindi può accertarsi della regolarità di un messaggio pubblicitario, potrebbe essere ritenuto responsabile di un tale illecito.
Al contrario, ciò non potrebbe sostenersi per l’hosting provider. Quest’ultimo, in forza della generale esenzione di responsabilità stabilita dal decreto e-commerce (d.lgs. n. 70/2003), non ha un obbligo di vigilanza. E non risponde delle informazioni che ospita. Se non nel caso in cui abbia acquisito effettiva conoscenza dell’illiceità delle stesse.
Per le pubblicità online, l’accertamento delle responsabilità può essere più complesso
L’applicazione di questi principi può risultare semplice in alcuni casi. Ad esempio, il titolare di un sito Internet che ospita il banner pubblicitario di un dispositivo medico può chiedere evidenza che il banner sia stato autorizzato dal ministero della Salute. In altri casi, l’accertamento delle responsabilità può essere ben più complesso. Recentemente il ministero ha aperto alla possibilità di pubblicizzare dispositivi e farmaci senza prescrizione sui social network (Facebook, YouTube e Instagram), ma il gestore della piattaforma social non esercita alcun controllo editoriale sui contenuti.
Di certo, questa sentenza rappresenta un segnale importante di responsabilizzazione degli operatori del settore radiotelevisivo e informatico nei confronti dei messaggi pubblicitari trasmessi. E questo dovrebbe suggerire una particolare attenzione, nei limiti del possibile, ad accertarsi che la pubblicità ospitata sia conforme ai requisiti di legge. Soprattutto laddove riguarda, come dice la Cassazione, “prodotti in grado di incidere sulla salute collettiva”.