TAR Liguria: ancora vigenti alcune norme sulla pubblicità dell’attività sanitaria ante-liberalizzazione

La vicenda

Il Comune di Sarzana (SP) ha emanato un provvedimento sanzionatorio contro la società DP 47 s.r.l. (“Società”) disponendo la sospensione dell’autorizzazione per l’esercizio dell’attività ambulatoriale. Tale sanzione veniva irrogata sulla base dall’art. 5, comma 5, della legge 5 febbraio 1992, n. 175, in quanto la Società aveva omesso di indicare in alcuni annunci pubblicitari nome, cognome e titoli professionali del medico responsabile della direzione sanitaria della propria struttura. La Società ha impugnato tale provvedimento di fronte al tribunale amministrativo della Liguria (“TAR”) per ottenerne l’annullamento.

La questione sottoposta all’esame del TAR

La controversia verte principalmente sull’attuale vigenza di talune previsioni della legge 175/1992, in materia di pubblicità sanitaria e di repressione dell’esercizio abusivo delle professioni sanitarie, con specifico riferimento all’art. 5, comma 5, che sanziona con la sospensione dell’autorizzazione da sei mesi a un anno gli esercenti dell’attività sanitaria che non indichino nei relativi annunci pubblicitari i riferimenti del direttore sanitario della struttura. Secondo la tesi sostenuta dalla Società, tale disciplina sarebbe stata espressamente abrogata dall’insieme di norme che, a partire dal decreto legge 223/2006, ha liberalizzato la pubblicità delle professioni sanitarie (si richiamano anche ile decreto legge 13 agosto 2011, n. 138 e il D.P.R. 7 agosto 2012, n. 137).

In particolare, il decreto legge 223/2006 ha sancito che “al fine di assicurare agli utenti un’effettiva facoltà di scelta nell’esercizio dei propri diritti e di comparazione delle prestazioni offerte sul mercato, dalla data di entrata in vigore del presente decreto sono abrogate le disposizioni legislative e regolamentari che prevedono con riferimento alle attività libero professionali e intellettuali: a) […]; b) il divieto, anche parziale, di svolgere pubblicità informativa circa i titoli e le specializzazioni professionali, le caratteristiche del servizio offerto, nonché il prezzo e i costi complessivi delle prestazioni secondo criteri di trasparenza e veridicità del messaggio il cui rispetto è verificato dall’ordine”. Anche il successivo decreto legge 138/2011 e il DPR 137/2012 hanno ribadito che “la pubblicità informativa, con ogni mezzo, avente ad oggetto l’attività professionale, le specializzazioni ed i titoli professionali posseduti, la struttura dello studio ed i compensi delle prestazioni, è libera. Le informazioni devono essere trasparenti, veritiere, corrette e non devono essere equivoche, ingannevoli, denigratorie”, precisando che le norme vigenti sugli ordinamenti professionali in contrasto con tali princìpi sono abrogate.

Occorre quindi valutare se anche la norma che impone agli esercenti dell’attività sanitaria di indicare nei propri annunci pubblicitari i riferimenti del direttore sanitario della struttura deve intendersi travolta dalle successive previsioni legislative.

La sentenza del TAR

Con sentenza del 27 ottobre 2017, n. 802, il TAR ha specificato, in via preliminare, “come anche il totem posto nelle immediate vicinanze dello studio professionale costituisca veicolo pubblicitario essendo finalizzato per i suoi contenuti a sollecitare la clientela. La funzione del messaggio era infatti quella di promuovere il centro odontoiatrico mediante lo sconto del 50% sugli impianti dentali”. In altre parole, il TAR ha sgomberato ogni dubbio sul fatto che il totem potesse essere considerato quale strumento meramente informativo della presenza dello studio, sancendone senza mezzi termine l’intento promozionale.

Tale precisazione si ricollega al precedente deciso dal TAR Lazio nel 2006 (TAR. Roma, sez. I, 26 giugno 2006,  n. 5136), in base al quale “la mera indicazione, contenuta in un annuncio pubblicitario relativo ad un centro sportivo, della presenza – all’interno del medesimo – di un centro medico polispecialistico senza altra specificazione, non viola l’art. 5, comma 5, l. 175/1992 per omessa indicazione del direttore sanitario, in quanto appare messaggio assolutamente inidoneo ad attirare nuovi clienti, non essendo resi espliciti i servizi medici offerti”.

Venendo al cuore della vicenda, secondo il TAR, dall’insieme delle norme richiamate in precedenza si ricavano i seguenti principi:

a) il complesso normativo di cui alla legge 175/1992 non è stato oggetto di un’integrale abrogazione espressa da parte delle successive riforme;

b) il decreto legge 223/2006 e le norme successive si sono limitate ad abrogare le disposizioni concernenti divieti di svolgimento di pubblicità informativa circa i titoli e le specializzazioni professionali, le caratteristiche del servizio offerto, nonché il prezzo e i costi complessivi delle prestazioni;

c) l’art. 5, comma 5, della legge 175/1992 non prevede alcun divieto di svolgimento della pubblicità informativa, ma si risolve nella previsione di adempimenti volti a garantire la più ampia trasparenza della informazione resa.

Pertanto, secondo il TAR, l’art. 5, comma 5, della legge 175/1992 non può ritenersi abrogato né espressamente né tacitamente dalla normativa sopravvenuta.

Alcune considerazioni

Il principio espresso in materia così nitida dal TAR lascia piuttosto sorpresi, in quanto sembra incoerente con quanto la Corte di Cassazione aveva deciso, il 24 gennaio 2012, in un diverso caso, peraltro sempre verificatosi nella Provincia della Spezia (Corte di Cassazione Civile, Sez. III, 9 marzo 2012, n. 3717).

In quell’occasione la Corte di Cassazione aveva chiaramente ritenuto che l’intera legge 175/1992, incluse le sanzioni disciplinari previste in caso di violazione, fosse stata abrogata dal decreto legge del 2006. Peraltro, ancora prima, il TAR Emilia Romagna, con sentenza n. 16/2010, aveva implicitamente confermato che la legge 175/1992 era stata abrogata.

Il criterio della compatibilità tra le vecchie e le nuove norme introdotto oggi dal TAR Liguria per decidere quali norme della legge 175/1992 devono ritenersi ancora applicabili sembra quindi contraddire il quadro interpretativo ricostruito fino ad oggi e può aprire la via a ulteriori dubbi applicativi.

Del resto, con specifico riferimento all’indicazione del direttore sanitario nella pubblicità, tale obbligo non sembra trovare oggi alcun altro supporto normativo e neppure deontologico.

Si resta quindi in attesa di vedere se il Consiglio di Stato confermerà la decisione di primo grado o si manterrà lungo la scia delle precedenti pronunce.

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