L’utilizzo sempre più frequente di piattaforme digitali per vendere beni o fornire servizi, secondo le informazioni a disposizione della Commissione, ha determinato dichiarazioni di redditi incoerenti ed un significativo rischio di evasione fiscale. Tramite una proposta di modifica della DAC (Direttiva relativa alla cooperazione amministrativa nel settore fiscale) la Commissione UE auspica l’adozione di un sistema armonizzato, avente regole comuni applicabili a tutti gli Stati membri, soprattutto alla luce della prevalente dimensione transfrontaliera dei servizi forniti dai gestori delle piattaforme digitali.
La soluzione potrebbe essere ricercare la collaborazione con i soggetti privati che dispongono del patrimonio informativo necessario per ricostruire i redditi percepiti dagli operatori commerciali digitali che oggi possono sfuggire ai controlli del fisco. Se la Proposta dovesse essere recepita dagli Stati, le piattaforme digitali saranno chiamate a fare la loro parte: diventare informatori delle autorità fiscali e rispettare gli obblighi stringenti di comunicazione, richiederà tempo e risorse e soprattutto una ristrutturazione dei processi interni per poter effettuare correttamente e tempestivamente la due diligence sui venditori.
Cosa cambierà dal 2022
La battaglia europea contro frodi, elusione ed evasione fiscale richiede alleanze con gli attori della platform economy. Circolazione delle informazioni sulle transazioni economiche e trasparenza sui redditi prodotti dai venditori di beni o servizi con l’intermediazione delle piattaforme digitali sono i nuovi strumenti che trovano d’accordo i Ministri dell’economia e delle finanze, recentemente chiamati ad esprimersi sulla proposta della Commissione[1] .
Amazon, eBay e Airbnb, solo per citare alcune piattaforme destinatarie dei nuovi obblighi, potrebbero essere chiamate a fornire informazioni sulle transazioni di merchant, seller e host i cui redditi dovrebbero essere, in questo modo, più facilmente controllati e verificati dalle autorità fiscali europee. Il recepimento da parte degli Stati membri dei contenuti della proposta dovrebbe avvenire entro il 31 dicembre 2021 in modo che possano essere comunicate le informazioni relative ai ricavi generati sulle piattaforme digitali a partire dal primo gennaio 2022.
Da molto tempo si è osservato che le caratteristiche proprie delle transazioni economiche su piattaforme digitali, spesso gestite da società stabilite al di fuori del territorio dell’Unione Europea, rendono estremamente complessa l’individuazione di quelle attività idonee a generare l’obbligazione tributaria nei paesi dell’Unione. Quello che si è venuto a creare, è un meccanismo che ha determinato una diminuzione del gettito fiscale a favore degli Stati membri e ha sottolineato in maniera ancor più netta la disparità fiscale tra i “soggetti digitalizzati” e gli operatori economici tradizionali.
Cosa prevede la proposta della Commissione UE
La proposta della Commissione si inserisce in un contesto normativo molto frammentato e lacunoso che non trova uniformità di disciplina e applicazione nei singoli Stati membri. Ecco, quindi, che l’idea di imporre ai gestori delle piattaforme di fornire alle amministrazioni fiscali nazionali un complesso di informazioni uniformi sui ricavi generati dai venditori e di prevedere un successivo scambio informativo tra le autorità europee, dovrebbe facilitare un approccio coerente in tutti gli Stati l’Unione Europea.
I dettagli della procedura per lo scambio di informazioni che i gestori sono tenuti ad osservare sono contenuti all’allegato V della proposta che definisce:
- le attività oggetto di comunicazione;
- i soggetti obbligati alla comunicazione;
- i soggetti di cui il gestore deve fornire le informazioni;
- il procedimento di comunicazione.
Quali sono le attività oggetto di comunicazione
Le attività oggetto di comunicazione (le “Attività Pertinenti”) sono quelle svolte dagli utenti delle piattaforme digitali a fronte di un corrispettivo, che rientrano in una delle categorie di seguito elencate:
- locazione di beni immobili;
- servizi personali;
- vendita di beni;
- noleggio di qualsiasi mezzo di trasporto;
- investimenti e prestiti nel contesto del crowdfunding.
Non sono ricomprese tra le attività oggetto di comunicazione quelle svolte da un venditore che agisca in qualità di dipendente di un gestore di piattaforma con obbligo di comunicazione o di un’entità collegata al medesimo gestore.
Chi sono i soggetti con obblighi di comunicazione
I soggetti con obbligo di comunicazione sono identificati nei gestori di piattaforme (siti web o app) che consentono ai venditori, tramite la stipula di apposito contratto, di essere collegati con possibili clienti allo scopo di svolgere, direttamente o indirettamente, un’Attività Pertinente e che soddisfino i seguenti requisiti territoriali:
- abbiano residenza fiscale in uno Stato membro;
- siano costituiti secondo le leggi di uno Stato membro;
- abbiano la propria sede di gestione o una stabile organizzazione in uno Stato membro.
Al fine di garantire la parità di condizioni tra le piattaforme UE ed extra UE, cercando di impedire fenomeni di concorrenza sleale a danno dei Gestori europei, la Proposta prevede che anche i Gestori di piattaforme che non soddisfano le condizioni territoriali sopra riportate (ad esempio piattaforme straniere) ma che facilitano la locazione di beni immobili ubicati in uno Stato membro o l’esecuzione di un’Attività Pertinente, siano soggetti all’obbligo di comunicazione, dovendosi peraltro registrare in un Paese membro per poter operare.
La Proposta chiarisce anche che non sono soggetti agli obblighi informativi i software che consentano esclusivamente
- il trattamento di pagamenti;
- la catalogazione o la pubblicità da parte degli utenti;
- la possibilità di reindirizzare o trasferire utenti verso una piattaforma.
Chi sono i soggetti passivi dell’obbligo di comunicazione
Dato l’ampio utilizzo delle piattaforme digitali per lo svolgimento di attività commerciali sia da parte di persone fisiche che di soggetti giuridici, la Commissione ha ritenuto di fondamentale importanza che le informazioni oggetto di comunicazione prescindano dalla natura giuridica del venditore, ad eccezione dei soli enti pubblici. In particolare, i Gestori di piattaforme dovranno comunicare all’autorità competente dello Stato membro tutte le informazioni rilevanti relative a quei soggetti (i venditori):
- che prestano un’attività rientrante nelle Attività Pertinenti, ovvero che siano remunerati/ricevano un corrispettivo in relazione alle medesime attività; e
- che risiedono in uno Stato membro[2], ovvero che abbiano dato in locazione beni immobili collocati in uno Stato membro.
Il Gestore dovrà prendere misure nei confronti dei Venditori che dopo due solleciti non forniscono le informazioni necessarie da trasmettere alle autorità fiscali. In particolare, il Gestore potrà chiudere il conto del venditore inadempiente impedendo la registrazione sulla piattaforma per un periodo di sei mesi o trattenere il corrispettivo dovuto.
Qual è il procedimento di comunicazione
I gestori di piattaforme dovranno raccogliere e verificare le informazioni necessarie a identificare i venditori operanti in uno Stato membro. Il gestore dovrà quindi comunicare all’autorità competente dello Stato membro in cui risiede o è registrato determinate informazioni quali, a titolo esemplificativo, i dati personali del venditore, l’identificativo del conto su cui vengono accreditati i corrispettivi per i beni venduti o i servizi erogati, nonché gli incassi trimestrali.
A sua volta, l’autorità che riceve le informazioni le comunicherà allo Stato membro in cui i Venditori sono residenti, ovvero in cui sono localizzati i beni immobili. Tali scambi tempestivi forniranno alle autorità fiscali le dovute informazioni, per consentire la preparazione degli accertamenti fiscali annuali.
Gli interventi precedenti
La proposta della Commissione non è il primo intervento di matrice sovranazionale che si interessa di disciplinare l’imposizione fiscale di transazioni economiche che non trovano una collocazione spaziale determinata. I primi interventi di contrasto all’evasione fiscale nel settore del commercio elettronico, infatti, risalgono a venti anni fa, quando nel contesto della regolamentazione internazionale volta ad evitare le doppie imposizioni fiscali, l’OCSE con il contributo “Clarification on the Application of the Permanent Establishment Definition in E-Commerce: Changes to the Commentary on Article 5”, aveva specificato i criteri da considerare per determinare lo Stato in cui l’impresa operante nel settore e-commerce deve essere considerata contribuente. L’accento era stato posto principalmente sull’elemento del server, fisicamente localizzabile e potenzialmente in grado di originare una stabile organizzazione per il soggetto che ne detiene la piena disponibilità.
Successivamente, l’OCSE ha emanato diverse linee guida, relazioni, emendamenti al proprio Modello di Convenzione contro le doppie imposizioni, cercando di adattarsi al continuo cambiamento e al disgregamento dei tradizionali paradigmi utilizzati per individuare la residenza fiscale del soggetto contribuente.
Sul piano nazionale, la Legge di Bilancio 2018, in conformità alle linee guida dell’OCSE, ha esteso il concetto di stabile organizzazione anche a tutte le ipotesi in cui un’impresa abbia una “significativa e continuativa presenza economica nel territorio dello Stato” costruita in modo tale da non fare risultare una sua consistenza fisica nel territorio stesso. Tramite questa definizione, il legislatore nazionale ha ricompreso tutte quelle imprese che pur realizzando le proprie attività in maniera totalmente o parzialmente dematerializzata, producono ricchezza nel territorio dello Stato.
Sempre nel 2018, la stessa Commissione ha proposto misure per un sistema comune d’imposta applicabile ai ricavi derivanti dalla fornitura di taluni servizi digitali (COM (2018) 148/F1). Le proposte, mai diventate effettive, erano volte a
- estendere la nozione di stabile organizzazione per includervi quella di “presenza digitale significativa”
- colpire specifiche attività operanti su piattaforme digitali nei confronti di diversi utenti dislocati in Europa.
Note
- “Proposta di Direttiva del Consiglio recante la modifica della direttiva 2011/16/UE del Consiglio relativa alla cooperazione amministrativa nel settore fiscale” – COM (2020) 314 final ↑
- I Venditori sono considerati residenti in uno Stato membro qualora, durante il periodo oggetto di comunicazione: (a) avevano l’indirizzo principale in uno Stato membro; (b) avevano un numero di identificazione fiscale o di partita IVA rilasciato in uno Stato membro; (c) qualora il venditore sia un’entità, aveva una stabile organizzazione in uno Stato membro. ↑