Il caso nasce da una controversia sorta nel febbraio 2016 davanti al Tribunale di Milano tra una società italiana e la società di diritto tedesco Sociomantic Labs GmbH (Sociomantic): la prima chiedeva la condanna della seconda al risarcimento del danno derivante dall’inadempimento di un contratto stipulato mediante scambio di messaggi di posta elettronica.
Sociomantic proponeva ricorso per regolamento preventivo di giurisdizione davanti alla Corte di Cassazione sostenendo che la competenza fosse del giudice di Berlino, in forza di una clausola di proroga della giurisdizione inserita nel punto 10.3 delle condizioni generali di contratto da essa predisposte e accettate dalla controparte.
La società italiana nel proprio controricorso si difendeva sostenendo che la Sociomantic avesse violato l’art. 10, paragrafo 3, della Direttiva sul commercio elettronico 2000/31/CE dell’8 giugno 2000, in base al quale “le clausole e le condizioni generali del contratto proposte al destinatario devono essere messe a sua disposizione in un modo che gli permetta di memorizzarle e riprodurle“. Sosteneva quindi che, in base ai suddetti principi, la clausola di proroga della giurisdizione doveva essere considerata “inesistente”, in quanto all’epoca della stipulazione del contratto non erano state prodotte le condizioni generali che la contenevano, o, in ogni caso, nulla poiché la stessa non era stata oggetto di accordo delle parti ed era carente dei requisiti di forma e sostanza di cui all’art. 23 del Regolamento 44/2001/CE, applicabile al momento della conclusione del contratto, e di cui all’identico art. 25 del successivo Regolamento (UE) 1215/2012 che lo ha sostituito.
Nell’accogliere la domanda di Sociomantic, la Suprema Corte ha richiamato, in primo luogo, i principi stabiliti dall’art. 23, par. 1, del Regolamento 44/2001/CE del 22 dicembre 2000, in base ai quali rientra nel concetto di forma scritta obbligatoria per gli accordi di proroga della giurisdizione “qualsiasi comunicazione con mezzi elettronici che permetta una registrazione durevole dell’accordo attributivo di competenza“. Ha inoltre richiamato la giurisprudenza della Corte di giustizia dell’Unione europea, secondo cui qualora la clausola di proroga della giurisdizione sia contenuta in condizioni generali di contratto disponibili mediante accesso ad un sito internet, si è in presenza di “una comunicazione elettronica che permette di registrare durevolmente tale clausola, ai sensi di tale disposizione, allorché consente di stampare e di salvare il testo di dette condizioni prima della conclusione del contratto” (sentenza 21 maggio 2015, C-322/14).
In seguito la Suprema Corte ha respinto le obiezioni della controricorrente riguardanti l’impossibilità di stampare o salvare copia delle condizioni generali di contratto, la mancata disponibilità delle medesime sul web alla data della stipulazione, e la difformità del testo disponibile al momento della stipulazione rispetto a quello prodotto in giudizio dalla ricorrente. I Giudici del Supremo Collegio hanno, infatti, sottolineato il fatto che la controricorrente non ha fornito prove sul fatto che le condizioni generali che comparivano nel sito Internet indicato non fossero stampabili e salvabili o fossero difformi rispetto a quelle prodotte, mentre era evidente che la società italiana all’epoca della stipulazione avesse avuto la disponibilità delle suddette condizioni generali in quanto aveva dichiarato, sottoscrivendo il modulo di ordine di acquisto predisposto dalla Sociomantic, “di aver preso conoscenza dei nostri termini e condizioni generali, sempre disponibili all’indirizzo (OMISSIS)” e, in alcune lettere indirizzate alla ricorrente, aveva fatto espresso riferimento alle condizioni generali di contratto.
I Giudici hanno poi evidenziato che il requisito di una specifica accettazione della clausola di proroga della giurisdizione non è previsto dal Regolamento e che “l’accettazione delle condizioni generali è insita nel richiamo delle stesse, nell’ordine di acquisto, quali parte integrante del contratto”. La Suprema Corte ha, inoltre, sottolineato il fatto che la lingua inglese è considerata la lingua corrente nel commercio internazionale e, dunque, le condizioni generali di contratto possono essere sempre redatte in tale lingua.
La Suprema Corte ha fatto presente che nel caso di specie la Direttiva 2000/31/CE non trova applicazione, in quanto la stessa stabilisce espressamente e chiaramente che “non introduce norme supplementari di diritto internazionale privato, né tratta delle competenze degli organi giurisdizionali” (art. 1, par. 4).
La Suprema Corte ha infine stabilito – e questo è il punto principale e più innovativo della sentenza – che la circostanza per cui “per generare la schermata contenente le condizioni generali di contratto non bastava un semplice “click” sul link corrispondente, ma occorreva digitare l’indirizzo indicato, non è sufficiente a far escludere la chiarezza della clausola stessa e della sua accettazione da parte del sottoscrittore dell’ordine di acquisto” e che, per tale ragione, la clausola di proroga della giurisdizione stessa deve essere ritenuta pienamente valida con conseguente declaratoria del difetto di giurisdizione del giudice italiano.