Investire negli USA: quali obblighi e responsabilità gli amministratori di una società costituita negli Stati Uniti devono tenere in considerazione in una operazione di m&a?

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13 February 2017
Articolo redatto in collaborazione con Enrico Granata, partner di Morrison & Foerster

Introduzione

La dinamicità degli investimenti e l’expertise raggiunta in settori nuovi ha reso gli Stati Uniti, soprattutto negli ultimi anni, un mercato attraente per imprenditori italiani intenzionati a lanciare una start up o a espandere il proprio business al di fuori del mercato nazionale. Non è un caso che l’ultimo decennio abbia visto una forte crescita del numero degli investimenti outbond dall’Italia verso gli Stati Uniti, a fronte di una diminuzione delle operazioni in direzione opposta.[1]

Ciò implica che sempre più società italiane decidono di stabilire la propria sede principale ovvero costituire una società controllata negli Stati Uniti e che un numero sempre crescente di italiani ricopra la carica di amministratore (cd. “director”) in tali società di diritto americano, trovandosi pertanto a operare nell’ambito di un sistema normativo straniero che risponde a principi diversi rispetto a quelli comunemente noti agli imprenditori italiani.

Conoscere le fondamenta del sistema di doveri e obblighi dei directors, le principali regole di best practice volte a limitare le responsabilità in cui possono incorrere nello svolgimento delle loro funzioni e le conseguenze in caso di violazioni dei doveri loro imposti costituisce, dunque, la base di partenza per chi guarda agli Stati Uniti come meta della propria attività imprenditoriale.

Ciò acquista maggiore rilevanza nell’ipotesi in cui la società costituita negli Stati Uniti, oltre a portare avanti il proprio business nell’ambito di una gestione day-to-day, sia interessata da operazioni straordinarie di investimento, cessione, acquisizione, fusione e simili. Infatti, è proprio nel contesto di operazioni di M&A che, dati gli interessi in gioco, le decisioni dei directors diventano oggetto di un più attento scrutinio da parte dei soci, degli investitori, degli eventuali creditori e, in definitiva, del giudice chiamato a pronunciarsi sui potenziali profili di responsabilità.

Di seguito viene fornita una panoramica dei suddetti temi ai sensi del diritto e della giurisprudenza del Delaware, essendo quest’ultimo lo Stato in cui la maggior parte delle società americane vengono costituite in conseguenza di una regolamentazione societaria tra le più duttili, meno onerose e allo stesso tempo più puntuali degli Stati Uniti.

Doveri dei directors e business judgment rule

I directors di una società costituita secondo il diritto dello Stato del Delaware sono titolari di un rapporto fiduciario nei confronti della società che amministrano e dei soci, il quale impone loro di svolgere le funzioni ad essi attribuite diligentemente e avendo come unico interesse da perseguire quello della società e dei soci, nonché di astenersi dal compiere qualsiasi attività che possa comportare un danno per quest’ultima o per i soci.

Detto rapporto fiduciario si sostanzia nei seguenti doveri: l’obbligo di diligenza, l’obbligo di lealtà e l’obbligo di buona fede.

L’obbligo di diligenza (cd. “duty of care”) è il dovere di agire in maniera informata e prudente e rappresenta, invero, un concetto non avulso dall’ordinamento italiano, secondo cui pure gli amministratori sono tenuti ad agire in modo informato e ciascuno di essi può chiedere agli organi delegati informazioni relative alla gestione della società.

L’obbligo di lealtà (cd. “duty of loyalty”) si concreta nel dovere dei directors di agire secondo la dovuta diligenza, in buona fede e nell’interesse della società e dei soci, evitando di compiere azioni che perseguano invece un interesse personale o di soggetti terzi. Così come previsto nell’ordinamento italiano, quindi, anche secondo le leggi del Delaware occorre considerare con particolare cautela le fattispecie in cui un director abbia un interesse personale, fermo restando che, affinché si possa ritenere che un director abbia agito in conflitto di interesse, detto conflitto deve essere effettivo e sostanziale (e non soltanto potenziale). La sola presenza di una situazione di conflitto in capo a un amministratore non implica di per sé il venir meno della presunzione di lealtà dell’intero board of directors, a meno che l’eventuale controparte non riesca a dimostrare che il director in posizione di conflitto ha determinato o influenzato la decisione a sé favorevole, ovvero non ha dichiarato l’esistenza del conflitto.

Infine, l’obbligo di buona fede (cd. “duty of good faith”) può essere definito come un elemento del più ampio dovere di lealtà e rappresenta il presupposto affinché i directors possano essere coperti dalla presunzione di agire secondo correttezza. Vista la particolare significatività della buona fede nell’ambito del rapporto fiduciario, la sua assenza comporta di per sé la violazione dell’obbligo di lealtà e la tutela contro la responsabilità dei directors normalmente garantita dall’utilizzo, nei documenti societari, di determinate previsioni cd. exculpatory non opera in caso di violazione dell’obbligo di buona fede o dell’obbligo di lealtà.

Sebbene l’esistenza di detti doveri fiduciari e la responsabilità che essi comportano possano, a primo impatto, scoraggiare dall’assumere il ruolo di director di una società americana per il timore di uno scrutinio costante sull’operato, il diritto del Delaware dispone che le scelte gestionali compiute dai directors non possano essere sindacate nel merito qualora essi abbiano agito nel pieno rispetto dei loro doveri fiduciari. In altri termini, il giudice non può sostituirsi ai directors nella valutazione circa l’opportunità di una determinata attività od omissione e la convenienza del risultato ottenuto, a meno che questi non abbiano agito in violazione dei loro obblighi fiduciari.

Pertanto, secondo la nota business judgment rule – regola ormai di comune applicazione giurisprudenziale anche in Italia – il giudice chiamato a esprimersi sulla responsabilità di un director deve inizialmente limitarsi a verificare la correttezza del processo decisionale compiuto e, soltanto laddove questo si riveli irrispettoso dei doveri fiduciari, egli può sindacare il merito della scelta. La business judgment rule opera, dunque, come una presunzione secondo cui si assume che, nel prendere una decisione di business, i directors abbiano agito in buona fede, in maniera informata e ritenendo che l’azione intrapresa (ovvero non intrapresa) si ponga nel migliore interesse per la società e per i soci.

Soltanto nel caso di violazione di detti obblighi fiduciari, si verifica un’inversione dell’onere della prova, con la conseguenza che incomberà in capo ai directors dimostrare la correttezza della propria decisione nei confronti sia della società che dei soci. In particolare, spetterà al board of directors dimostrare la cd. “entire fairness” della decisione, la quale si sostanzia, a sua volta, in: (i) il “fair dealing”, ossia il fatto che l’operazione sia stata strutturata, negoziata e condotta in maniera informata e disinteressata, nonché in modo tale da massimizzare i benefici per la società e i soci e da non arrecare loro danni; e (ii) il “fair price”, per tale intendendosi non soltanto il prezzo finale ma anche il processo attraverso il quale si è giunti alla determinazione del prezzo e i criteri applicati.

Focus sulle operazioni straordinarie e consigli pratici

I doveri fiduciari dei directors assumono ancora maggiore rilevanza quando la società amministrata è coinvolta in un’operazione straordinaria, sia essa un’acquisizione di una target (cd. operazione buyer’s side) ovvero la vendita della società stessa o di una sua partecipazione (cd. operazione seller’s side), a prescindere dalla modalità tecniche in cui l’operazione è strutturata.

In simili contesti, la procedimentalizzazione di ogni step dell’operazione, il ricorso a consulenti esterni e un costante flusso informativo rappresentano un valido aiuto per evitare di incorrere in violazioni dei doveri fiduciari.

Va da sé, poi, che livello di prudenza da parte dei directors nel rispetto dei propri obblighi deve essere ancora maggiore quando l’operazione comporta la vendita, la fusione, la scissione, la riorganizzazione della compagine azionaria della società amministrata o, ancora, la cessione di una partecipazione di maggioranza con relativo cambio di controllo. Ciò in quanto dette operazioni consentono la realizzazione, per i soci e/o per il management della società, di un guadagno economico personale (il quale può essere rappresentato dal corrispettivo della vendita, da un concambio di partecipazioni, ecc.) che, di per sé, pone i directors in una posizione di potenziale conflitto con l’interesse primario della società.

A questo proposito, la giurisprudenza del Delaware si è pronunciata affermando che, ferma restando la facoltà dei directors di decidere di non iniziare un’operazione seller’ side, nel caso in cui si deliberi di procedere con un’operazione che comporti un cambio di controllo, i directors devono esercitare i loro doveri fiduciari avendo come obiettivo la realizzazione del valore ragionevolmente migliore per i soci della società. Gli obblighi dei directors sono quindi soggetti ad un più penetrante scrutinio da parte del giudice, il quale, al fine di verificare il rispetto dei doveri fiduciari da parte del board of directors, deve verificare: (i) l’adeguatezza del processo decisionale seguito; e (ii) la ragionevolezza delle azioni compiute alla luce delle circostanze specifiche.[2]

In termini pratici, il rispetto di talune regole procedimentali, alcune delle quali non espressamente previste dalla normativa ma enunciate in parte dalla giurisprudenza, sebbene non faccia venir meno la responsabilità dei directors, può tuttavia limitarla, rendendo operativa la presunzione di correttezza di cui alla business judgment rule.

In particolare, avendo riguardo alle operazioni di M&A, può rivelarsi utile l’adozione delle seguenti cautele:

– evitare di prendere decisioni affrettate e, al contrario, fare scelte ponderate soltanto dopo aver esaminato approfonditamente la documentazione disponibile e dopo aver discusso i relativi temi in maniera soddisfacente, anche eventualmente nel corso di più riunioni del board of directors;

– usufruire delle competenze di dipendenti che si ritiene abbiano informazioni e/o expertise rilevanti ai fini della decisione da prendere, nonché far ricorso a studi, pareri, due diligence reports, ecc. di consulenti esterni con riferimento a qualsiasi aspetto sensibile dell’operazione, avendo cura che detti documenti analizzino le questioni rilevanti utilizzando tutti i criteri e le metodologie di analisi comunemente impiegati per operazioni simili;

– dichiarare l’esistenza di qualsiasi interesse personale o di terzi potenzialmente in conflitto con quello della società o dei soci, nonché astenersi dal votare allorquando il voto del director potenzialmente in conflitto sia rilevante ai fini del raggiungimento del quorum necessario per l’adozione della delibera;

– addottare appropriate delibere di autorizzazione dell’operazione da parte del board of directors;

– in caso di decisioni prese da un singolo director nell’ambito di specifiche deleghe di poteri, condividere dette decisioni con l’intero board of directors attraverso apposite delibere che prendano atto e ratifichino l’operato del singolo director.

Alla luce di quanto sopra, é pertanto consigliabile rivolgersi ad un consulente legale fin dalle prime fasi di una operazione straordinaria, sia buyer’s side sia seller’s side, affinchè li suddetto consulente possa assistere e consigliare il board of directors nell’adozione di tutta quelle azioni minime che garantiscano il rispetto dei doveri dei directors ed una conseguente riduzione di eventuali rischi di una loro responsabilità.

L’osservanza delle summenzinate regole di condotta, unita alla presunzione di correttezza fornita dalla business judgment rule, fanno invero dell’ordinamento del Delaware – e in definitiva del mercato degli Stati Uniti – un contesto flessibile che incoraggia gli investimenti da parte di imprenditori e investitori stranieri.

[1] In particolare, come evidenziato dai dati contenuti nell’osservatorio “Italy is Back – Opportunities and new paradigm in doing business with United States” realizzato da Ernst & Young in collaborazione con l’associazione Italian Business & Investment Initiative e l’American Chamber of Commerce in Italy, “nel corso degli ultimi dieci anni, dal 2003 al 2015, gli investimenti statunitensi in Italia sono diminuiti del 2,6% da 23,1 miliardi di dollari a 22,5 miliardi nel 2015. In senso contrario, durante lo stesso periodo, gli investimenti italiani negli USA hanno registrato un siginificativo aumento, passando da 6,9 miliardi di dollari nel 2003 a 28,6 miliardi di dollari nel 2015, con un increment del 312,5%, dimostrando che diverse aziende italiane considerano strategico sviluppare il proprio business attraverso l’apertura di centri di produioni e o l’acquisto di societa’ statuinitensi”.

[2] I doveri applicabili ai directors in caso si vendita della società amministrata o operazioni simili sono chiamati “Revlon duties” dalla decisione “Lyondell Chemical Company v. Ryan”, 970 A.2d 235 (Del. 2009)

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