Informazione o pubblicità dei medicinali? L’interpretazione del Tribunale di Milano

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Questo articolo è stato pubblicato su AboutPharma Online il 30 novembre 2017.

L’informazione e la pubblicità dei medicinali sono temi oggi cruciali. Il Tribunale civile di Milano (sent. n. 8240 del 24 luglio 2017) ha recentemente affermato che la pubblicazione da parte di una società farmaceutica, sia sul proprio sito web che a mezzo stampa, dell’elenco dei prodotti e dei prezzi dei propri medicinali è qualificabile come attività promozionale. Ed è quindi soggetta agli stringenti limiti previsti dalla normativa sulla pubblicità dei prodotti farmaceutici. Il Tribunale ha altresì affermato che la violazione di questi limiti costituisce concorrenza sleale e ha inibito la prosecuzione di tale attività.

La vicenda

Doc Generici, società italiana che produce medicinali generici, aveva pubblicato sul proprio sito web e su alcune riviste settimanali: L’elenco dei propri prodotti che includeva, per ciascuno di essi, l’indicazione del relativo principio attivo. Nonché della classe di rimborsabilità, del nome del farmaco “originatore” e dell’assenza di eccipienti che possono causare allergie. E l’elenco dei prezzi estratti dalle liste di trasparenza pubblicate dall’Agenzia italiana del farmaco (Aifa). Queste informazioni sono state pubblicate senza l’autorizzazione preventiva del Ministero della Salute, sul presupposto che la loro diffusione non costituisse pubblicità. Bayer aveva inviato diverse diffide a Doc Generici a proseguire tali attività.  L’azienda tedesca contestava la violazione della disciplina sulla pubblicità dei medicinali e la violazione dei propri diritti sui marchi con i quali venivano identificati i prodotti “originatori”. Senza considerare la condotta di concorrenza sleale per appropriazione di pregi. Doc Generici si è quindi rivolta al Tribunale di Milano affinché dichiarasse che le attività di comunicazione dalla stessa effettuate non costituivano una violazione delle norme sulla pubblicità dei medicinali, in quanto non potevano essere qualificate come “pubblicità”.

Informazione o pubblicità?

Il Tribunale di Milano è chiamato a valutare in primo luogo se le attività di comunicazione svolte da Doc Generici siano qualificabili o meno come pubblicità. La risposta a tale interrogativo è infatti il presupposto per poter dirimere la questione. Ossia se tali attività siano effettuate lecitamente (nel rispetto delle norme sulla pubblicità dei medicinali) e quindi possano essere proseguite.

Per effettuare tale valutazione, il Tribunale di Milano richiama una sentenza della Corte di giustizia del 5 maggio 2011 (C-316/09, MSD Sharp & Dohme GmbH contro Merckle GmbH). Qui la Corte aveva identificato i seguenti principali indici di una comunicazione a carattere meramente informativo (e quindi non pubblicitario).

  • Informazioni limitate alla riproduzione fedele della confezione del medicinale. E in una riproduzione letterale ed integrale del foglietto illustrativo o del riassunto delle caratteristiche del prodotto.
  • Assenza di qualsiasi selezione/manipolazione delle informazioni “poiché tali manipolazioni delle informazioni possono spiegarsi solo con uno scopo pubblicitario”.
  • Informazioni disponibili con sistema “pull”, per cui la loro consultazione richiede un’azione attiva di ricerca da parte dell’utente di internet. E non attraverso finestre indesiderate, dette “pop-up”, che appaiono spontaneamente sullo schermo.

La decisione del Tribunale

Il Tribunale di Milano ha ritenuto nel caso in esame che, seppure le pubblicazioni non includessero alcun messaggio promozionale, Doc Generici aveva selezionato le informazioni da pubblicare, in quanto parzialmente riprese da più liste di trasparenza. E aveva manipolato queste informazioni poiché aveva aggiunto criteri di classificazione dei prodotti non contenuti nella lista di trasparenza. In aggiunta, secondo la sentenza, aveva aggiunto ulteriori informazioni sugli eccipienti che non erano incluse nei documenti pubblicati dall’Aifa.
Inoltre, le informazioni erano state diffuse con tecniche (non specificate dal Tribunale) che non richiedevano alcuna ricerca da parte dell’utente di internet né del lettore della rivista.
Per questi motivi, applicando gli stessi criteri utilizzati dalla Corte di giustizia nel 2011, il Tribunale di Milano ha concluso che le attività di comunicazione condotte da Doc Generici dovessero essere qualificate come pubblicità.
Dopo aver qualificato tali comunicazioni come pubblicità, il Tribunale ha quindi accertato che esse non erano state eseguite conformemente alla normativa sulla pubblicità dei medicinali. E ha dichiarato che la violazione di tali norme integrava una condotta di concorrenza sleale.
Di conseguenza, il Tribunale ha inibito a Doc Generici di proseguire tale attività.

Dalla conferma del principio all’applicazione restrittiva

La sentenza in commento conferma il principio enunciato dalla Corte di giustizia. Ossia che la semplice pubblicazione dell’elenco dei medicinali, unitamente a una fedele riproduzione dell’imballaggio e del foglietto illustrativo o del riassunto delle caratteristiche del prodotto, senza alcuna selezione o manipolazione, non è qualificabile come pubblicità. E, quindi, non ricade nel campo di applicazione delle relative norme. Ciò significa che, se la pubblicazione riguarda medicinali soggetti a prescrizione, essa può essere legittimamente effettuata. Mentre la pubblicità sarebbe vietata. E, se riguarda medicinali non soggetti a prescrizione, non richiede la previa autorizzazione del Ministero (che sarebbe necessaria in caso di pubblicità).

Se tale affermazione di principio è importante, si evidenzia tuttavia che il Tribunale di Milano ne ha fornito un’interpretazione molto restrittiva. Infatti, in questo caso, il giudice ha ritenuto che la limitatissima attività di modifica e selezione effettuata da Doc Generici sia comunque sufficiente a conferire al messaggio un carattere pubblicitario. Questo approccio suggerisce molta cautela nella scelta dei mezzi più idonei a fornire un’informativa sui prodotti farmaceutici che si sottragga al rischio di essere qualificata come pubblicità.

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