Il caso Dabus: l’intelligenza artificiale non può essere designata come inventore in un brevetto

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Questo articolo è stato pubblicato il 4 settembre 2024 su AboutPharma.com, all’interno della nostra rubrica “Digital impact in Life Sciences: Legal Corner”.

Si ringrazia Anna Durante per aver collaborato a questo articolo.

Nel settore delle life sciences l’utilizzo dell’intelligenza artificiale (IA) ha un ruolo fondamentale, permettendo di facilitare significativamente vari processi, tra cui ad esempio analizzare ed elaborare in automatico grandi quantità di dati sanitari che possono facilitare la scoperta di nuovi farmaci, migliorare la diagnostica e personalizzare i trattamenti per i pazienti, o ancora all’automazione dei processi di laboratorio e la gestione delle sperimentazioni cliniche, con risparmi di tempi e risorse.
Tale impiego pone però contemporaneamente anche numerosi quesiti, etici e legali, sul piano della responsabilità, dell’affidabilità, del corretto e legittimo uso di dati o di informazioni per addestrare l’IA e giungere a nuove soluzioni tecniche, tematiche oggetto di ampie discussioni e di importanti interventi legislativi, tra cui il recentissimo Regolamento europeo sull’intelligenza artificiale n. 1689/2024, noto come AI Act.

Una questione ancora aperta

Ci sono molti temi tuttavia ancora aperti. L’uso dell’IA pone infatti anche interessanti interrogativi sul piano della brevettabilità delle scoperte da questa generate e sulla possibilità di indicare l’IA come autrice delle invenzioni oggetto di protezione brevettuale. Può un’invenzione generata dall’IA essere oggetto di brevetto? Se la nuova scoperta tecnica è generata dall’IA chi dovrà essere indicato come inventore? Che ruolo ha l’intervento umano di guida, selezione, impostazione dei dati nella generazione dell’invenzione ai fini dell’attribuzione della paternità dell’invenzione stessa? Sono proprio questi i quesiti che sono stati oggetto della celebre saga, nota come “caso Dabus”, che da anni impegna Uffici brevetti e Tribunali di diversi paesi nel mondo e che recentemente è stata oggetto di interessanti sviluppi che potranno condizionare il futuro della brevettabilità delle invenzioni generate dall’IA.

Il caso Dabus in sintesi

La vicenda vede come protagonista Stephen Thaler, scienziato e direttore generale della Imagination Engines Inc., società di reti neurali con sede nel Missouri. Thaler è il creatore e il proprietario di Dabus, acronimo di “Device for autonomous bootstrapping of unified sentience”. Dabus è un sistema di intelligenza artificiale progettato per generare output creativi autonomamente, senza l’intervento umano diretto, se non limitatamente alla somministrazione di dati di addestramento.
Da anni Thaler sostiene che Dabus sia in grado di concepire autonomamente invenzioni originali e da ciò ne è derivata la determinazione nel rivendicare la designazione di Dabus quale inventore nelle domande di brevetto relative a scoperte generate attraverso il sistema e depositate in varie giurisdizioni. In particolare, Thaler sostiene che il processo inventivo che ha condotto alle soluzioni tecniche oggetto delle domande di brevetto sia stato operato in autonomia dall’IA e, di conseguenza, l’invenzione debba essere brevettata designando Dabus come unico inventore e assegnando invece a Thaler la titolarità del brevetto, in quanto proprietario del sistema di intelligenza artificiale.

L’IA non può essere designata come inventore

Nonostante quanto sostenuto da Thaler circa le “capacità inventive” di Dabus, la maggior parte degli Uffici brevetti nazionali, inclusi quelli di Regno Unito, Australia e Stati Uniti(e ad eccezione del Sud Africa, dove non viene svolto tuttavia un esame sostanziale della domanda, ma solo un accertamento della conformità a certi requisiti formali, hanno respinto le domande di brevetto di Thaler ritenendo che, secondo le leggi vigenti, l’inventore debba essere necessariamente una persona fisica e non una macchina. Infatti, non godendo di capacità giuridica, una macchina non può vantare alcun diritto individuale e quindi essere designata come inventrice in un brevetto. Anche l’Ufficio Europeo dei Brevetti (European patent office – Epo), nelle decisioni del 2022 sui casi J 8/20 e J 9/20, ha affermato che, ai sensi della Convenzione sul Brevetto europeo (European patent convention – Epc), soltanto l’essere umano può essere considerato inventore e designato come tale in una domanda di brevetto in quanto soggetto dotato di capacità giuridica.

Anche la titolarità del brevetto è stata esclusa per il proprietario di Dabus

Inoltre, l’Epo ha altresì respinto la richiesta ausiliaria formulata da Thaler mirata a designare sé stesso come soggetto titolare del brevetto in quanto proprietario e creatore di Dabus. Infatti, secondo l’Ufficio Europeo, le norme in vigore affermano due principi:

  • la domanda di brevetto europeo deve indicare, al momento del suo deposito, il soggetto persona fisica designato come inventore, requisito assente nel caso Dabus;
  • anche se questa norma non si applicasse, laddove richiedente il titolo (Thaler) e inventore (Dabus) differiscono, è comunque necessaria una dichiarazione sull’origine del diritto alla titolarità del brevetto europeo del richiedente. Nel caso in esame, la dichiarazione presentata da Thaler secondo cui spetta a lui il diritto al brevetto europeo in quanto proprietario e creatore di Dabus non è sufficiente poiché non fa riferimento a una situazione giuridica o a una transazione legale che lo avrebbe reso successore nel titolo rispetto all’inventore, posto che l’IA non può essere titolare di alcun diritto e dunque non può cedere alcun diritto ai sensi della Epc.

La posizione del Regno Unito

La stessa posizione è stata recentemente espressa anche dalla Corte Suprema del Regno Unito quando, nel dicembre 2023, a conclusione di un lungo e dibattuto procedimento iniziato da Thaler davanti all’Ufficio britannico per la Proprietà Intellettuale, si è trovata ad esprimersi sulla medesima questione. Secondo i giudici inglesi, le domande di brevetto presentate da Thaler indicando come inventore il sistema di intelligenza artificiale non soddisfano i requisiti previsti dalla legge del Regno Unito secondo cui – ancora una volta – l’inventore può essere solo una persona fisica e quindi non un sistema di IA. In particolare, la Corte Suprema del Regno Unito ha concluso che:

  • l’unica interpretazione ragionevole della legge applicabile è che l’inventore debba essere una persona fisica, in quanto non è contemplata la possibilità che una macchina che agisce da sola ed è gestita da un’intelligenza artificiale possa essere un inventore.
  • Circa il diritto di Thaler di chiedere e ottenere un brevetto per i progressi tecnici apportati da Dabus in quanto proprietario della macchinala legge britannica prevede che un brevetto possa essere concesso all’inventore o a una persona che agisce al posto dell’inventore.
  • In questo caso, analogamente all’Epo, la Corte ha rilevato che Dabus non fosse un inventore né potesse in alcun modo cedere i propri diritti sull’invenzione a Thaler, non avendo personalità giuridica.
  • Infine, sulla possibilità di invocare il principio secondo cui il proprietario di una cosa ne sia anche il proprietario dei frutti, secondo la Corte Suprema non esiste una regola simile in relazione a diritti immateriali come la proprietà intellettuale.

Sembrava dunque che, ai sensi della normativa attuale, non ci fossero spazi di brevettabilità per invenzioni generate dall’intelligenza artificiale. Eppure, a fronte della esigenza crescente di trovare una forma di tutela alle invenzioni generate dall’intelligenza artificiale, tale fronte compatto di decisioni ha cominciato in questi ultimi mesi a mostrare qualche punto di debolezza.

Si apre uno spiraglio? Il ruolo del “contributo inventivo” dell’utilizzatore del sistema di IA secondo l’Ufficio brevetti americano

A febbraio di quest’anno, l’Ufficio brevetti americano (Uspto) ha pubblicato le linee guida sulla brevettabilità delle invenzioni generate dall’intelligenza artificiale, compiendo un piccolo ma rilevante passo avanti rispetto alle precedenti decisioni. L’Uspto, pur ribadendo che un sistema di IA non possa essere indicato come inventore, ha riconosciuto che le invenzioni frutto dell’impiego di sistemi di IA non siano escluse ex ante dalla brevettabilità: sono anzi certamente brevettabili quando la persona fisica che ha utilizzato il sistema di intelligenza artificiale abbia apportato un “contributo inventivo significativo” all’individuazione della nuova soluzione tecnica. In tal caso la persona fisica sarà indicata come inventore. L’Uspto, nelle proprie linee guida, ha quindi delineato i criteri necessari per determinare la sussistenza dei requisiti che integrano il concetto di “contributo inventivo significativo”.

Non basta fornire dati: serve un ruolo rilevante dell’essere umano per giungere alla soluzione inventiva

In particolare, l’essere umano deve avere un ruolo attivo e decisivo nell’ideazione dell’invenzione, non limitandosi a fornire dati o a presentare un problema determinato al software. Ad esempio, la semplice individuazione di un problema o la presenza di un obiettivo generale o di un piano di ricerca da perseguire non sono sufficienti a raggiungere un livello di ideazione e dunque un contributo inventivo. Una persona fisica che si limita a presentare un problema a un sistema di IA non può essere un inventore o un co-inventore di un’invenzione identificata dai risultati prodotti dal sistema di IA. Tuttavia, un contributo inventivo significativo potrebbe essere costituito dal modo originale ed innovativo in cui la persona costruisce il prompt in vista di un problema specifico, per suscitare una particolare soluzione da parte del sistema di IA. O ancora, una persona fisica che si limita a riconoscere e ad apprezzare l’output di un sistema di IA come un’invenzione, in particolare quando le proprietà e l’utilità dell’output sono evidenti a chi ha una conoscenza ordinaria del settore, non è necessariamente un inventore. Tuttavia, una persona che prende l’output di un sistema di IA e vi apporta un contributo significativo per creare un’invenzione, ad esempio selezionando e coordinando i risultati ottenuti, può essere indicato in un brevetto come un inventore vero e proprio.

Il contributo inventivo è indispensabile? La decisione della Corte federale tedesca

Un passo ulteriore è stato compiuto proprio nel capitolo più recente della saga Dabus. L’11 giugno di quest’anno, infatti, la Corte di Giustizia federale tedesca, a conclusione del lungo procedimento iniziato dal dottor Thaler davanti all’Ufficio brevetti nazionale, ha emesso una sentenza che apporta interessanti novità sulle invenzioni generate dall’IA. Infatti, se da un lato la Corte ha confermato l’orientamento consolidato in pressoché tutte le giurisdizioni coinvolte secondo cui solo una persona fisica, e non un sistema di IA, possa essere designata quale inventore in una domanda di brevetto, dall’altro lato, ha formulato ulteriori e nuove riflessioni con riferimento al contributo umano necessario per riconoscere come invenzione brevettabile un prodotto dell’IA.
Nel corso del procedimento di primo grado di fronte al Tribunale federale dei brevetti, Thaler aveva infatti presentato anche richieste ausiliarie rispetto alla richiesta principale di designare Dabus come inventore nelle domande di brevetto, proponendo sé stesso come inventore, in quanto persona fisica che aveva creato il prompt che ha permesso a Dabus di generare l’invenzione. Nel 2021, il Tribunale federale dei brevetti aveva deciso di concedere il brevetto sulla base di tale richiesta ausiliaria, designando Thaler come inventore con l’aggiunta della formula “che ha indotto l’intelligenza artificiale Dabus a generare l’invenzione”. La decisione era stata impugnata dall’Ufficio brevetti tedesco, ma la recente decisione della Corte di Giustizia federale ha confermato la sentenza del Tribunale, aprendo così a maggiori possibilità di registrare invenzioni che si basano sull’utilizzo dell’IA.

Invenzione? Basta un intervento umano “significativo”

In particolare, la Corte ha stabilito – in conformità a quanto già indicato nelle linee guida dell’Uspto – che è possibile designare una persona fisica come inventore di una scoperta generata utilizzando un sistema di IA. La Corte si è spinta tuttavia oltre rispetto a tali linee guida, affermando che il ruolo di inventore non richiede necessariamente che questo apporti un contributo inventivo indipendente, ma può derivare da qualsiasi contributo umano significativo che abbia influenzato in qualche modo il successo complessivo dell’invenzione. Infatti, secondo le conoscenze scientifiche attuali, afferma la Corte tedesca, non esiste un sistema di IA che possa attingere a insegnamenti tecnici senza alcuna preparazione o influenza umana. E tale preparazione o influenza umana sono sufficienti a determinare il ruolo di inventore nella persona fisica che l’ha posta in essere. In sostanza, secondo la Corte di Giustizia federale, anche per un’invenzione generata dall’IA, c’è sempre un essere umano che ha avuto un’influenza significativa sulla generazione dell’invenzione. Il tipo di influenza non è importante e il contributo umano non deve necessariamente essere un contributo inventivo, creativo all’invenzione. In altre parole, se si pone a un sistema di IA un problema adeguato e il sistema di IA risolve il problema realizzando un’invenzione, la persona che ha fornito le istruzioni e che ha posto il problema all’IA può essere indicata come inventore nel relativo brevetto.

Prospettive future

La recente decisione della Corte di Giustizia federale sul caso Dabus rappresenta un passo importante nel riconoscimento del ruolo dell’IA nello sviluppo tecnologico, individuando una possibile strada per la tutela delle invenzioni così generate. Quale sarà l’impatto di tale decisione nei prossimi casi in cui gli uffici nazionali brevetti si troveranno a dover decidere in merito alla brevettabilità di un’invenzione generata da un’IA? L’impostazione della Corte tedesca sarà adottata anche negli altri Paesi? Ciò è possibile, particolarmente in Europa dove il diritto brevettuale è già nella sostanza uniforme, oltre che grazie all’istituzione del Brevetto europeo, con l’entrata in funzione, lo scorso anno del Tribunale Unificato dei Brevetti. Quel che in ogni caso ad oggi è certo è che l’urgenza di trovare una soluzione alla necessità di proteggere le invenzioni generate attraverso l’utilizzo dell’IA è divenuta impellente, e dunque una via va individuata, o attraverso la giurisprudenza, o, come sarebbe auspicabile, con un chiaro intervento normativo sul punto.

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