La Corte Costituzionale, con sentenza n. 56 del 26 marzo 2020, si è pronunciata con un parziale ma significativo accoglimento delle questioni di legittima, sollevate dalla Regione Calabria con ricorso notificato il 12-19 aprile 2019, delle norme legislative statali volte a regolare il settore degli autoservizi pubblici non di linea (taxi e noleggio con conducente, o NCC).
In particolare, le disposizioni impugnate dalla Regione Calabria sono i commi 1, lettere a), b), e) e f), 6, 7, 8, 9, dell’art. 10-bis del decreto-legge 14 dicembre 2018, n. 135 recante “Disposizioni urgenti in materia di sostegno e semplificazione per le imprese e per la pubblica amministrazione”, convertito con modificazioni nella legge 11 febbraio 2019 n. 12. Tali disposizioni rappresentano l’ultimo di una lunga serie di interventi legislativi mediante i quali il legislatore ha tentato di riformare in modo organico la disciplina contenuta nella legge quadro per il trasporto di persone mediante autoservizi pubblici non di linea (legge 15 gennaio 1992, n. 21). Più precisamente, esse assoggettano i servizi di NCC ai seguenti requisiti: (i) avere la sede operativa e almeno una rimessa presso il territorio del comune che ha rilasciato l’autorizzazione; (ii) ricevere le prenotazioni del servizio solo presso la sede o la rimessa, anche mediante strumenti tecnologici; (iii) compilare e tenere un foglio di servizio in formato elettronico in cui marcare regolarmente i dettagli dei singoli servizi effettuati; (iv) iniziare e terminare ciascuna corsa presso la rimessa.
Nel suo giudizio, la Corte Costituzionale da un lato conferma[1] la competenza statale esclusiva in materia di tutela della concorrenza anche nel settore dei trasporti locali, ma dall’altro dichiara illegittimo l’art. 10-bis, comma 1, lettera e) nella parte in cui prevede il requisito di iniziare e terminare ogni singolo servizio di NCC presso le rimesse (e quindi di tornare sempre alla rimessa prima di iniziare una nuova corsa) in quanto inadeguato e sproporzionato.
Sul conflitto di attribuzioni Stato-Regioni in materia di tutela della concorrenza nel settore del trasporto pubblico locale.
Con la questione principale, la Regione ricorrente lamentava che un intervento statale teso a regolare in modo così particolareggiato i servizi di trasporto pubblico non di linea invadesse la competenza regionale residuale in materia di trasporto pubblico locale, in contrasto con l’art. 117 comma 2, lettera e) e comma 4 della Costituzione, non essendo tale materia espressamente attribuita allo Stato.
Inoltre, la ricorrente argomentava che, anche volendo ricondurre le norme impugnate alla competenza statale trasversale in materia di tutela della concorrenza prevista dall’art. 117, comma 2, lettera e) della Costituzione, l’intricata disciplina del servizio NCC così introdotta non rispettasse i principi di adeguatezza e di proporzionalità all’interesse pubblico perseguito, che devono sempre informare l’attività del legislatore statale. In particolare, secondo la Regione ricorrente la norma legislativa impugnata non poteva ritenersi diretta a tutelare la concorrenza poiché mira a comprimere, piuttosto che ad aprire, la libertà di esercizio del servizio di NCC e quindi la concorrenza complessiva nel mercato degli autoservizi non di linea.
L’esercizio del bilanciamento di interessi in gioco come espressione della competenza statale trasversale in materia di concorrenza.
La ricorrente quindi non contestava che la potestà legislativa regionale in materia di trasporto pubblico non di linea potesse essere limitata da una legge statale diretta a tutelare la concorrenza nel settore, bensì sosteneva che l’intervento statale in questione non fosse riconducibile al fine della tutela della concorrenza poiché teso nel suo complesso a limitare, invece che a svincolare, l’attività di NCC e la loro opportunità di competere con i tassisti sulla base di regole comuni. Tuttavia, la Corte Costituzionale ha ritenuto tale censura, per come posta, parzialmente infondata.
Richiamando precedenti pronunce aventi ad oggetto fattispecie analoghe a quella di cui in commento[2], la Corte chiarisce che la competenza esclusiva dello stato ascrivibile alla materia della tutela della concorrenza si sostanzia nella necessità di operare un corretto bilanciamento fra libertà di iniziativa economica (art. 41 Cost.) e altri interessi costituzionali interferenti con tale libertà. Questo esercizio di bilanciamento, sostiene la Corte, può costituire espressione caratteristica della potestà legislativa statale in materia di tutela della concorrenza anche se risulti nell’introduzione di limiti ad una certa attività economica. La competenza statale in materia di concorrenza è quindi volta a dettare un assetto degli interessi che il legislatore regionale non può legittimamente alterare, anche laddove l’esito di tale esercizio produca una compressione della concorrenza[3].
Tuttavia, in linea con i citati precedenti, la Corte ha aggiunto di dover valutare, in concreto, se gli obblighi introdotti dalle disposizioni censurate potessero ritenersi adeguati e proporzionati rispetto all’obiettivo prefissato e ai risultati attesi, essendo la proporzionalità e adeguatezza un requisito generale di legittimità della potestà legislativa statale rispetto alle concorrenti competenze regionali (tanto quanto rispetto alla tutela della concorrenza). In caso contrario, l’intervento dello Stato travalicherebbe l’obiettivo di tutela della concorrenza e di conseguenza comprimerebbe illegittimamente la competenza residuale regionale in materia di trasporto pubblico locale.
Calando poi tale ragionamento nella fattispecie in commento la Corte afferma che l’impugnata normativa debba essere ricondotta alla materia della tutela della concorrenza in quanto rappresenta lo sforzo del legislatore statale nel ricercare il punto di equilibrio “tra il libero esercizio dell’attività di NCC – che si colloca a sua volta nel suo proprio mercato – e l’attività di trasporto esercitata dai titolari di licenze per taxi”. Invero, osserva la Corte, l’attività dei taxi costituisce, al pari di quella di NCC, un servizio pubblico non di linea destinato però a un’utenza differenziata. In particolare, mentre il servizio di NCC risponde alle esigenze degli utenti che intendono prenotare anticipatamente una specifica corsa, il servizio taxi è teso a soddisfare una domanda istantanea, che può anche essere espressa nella pubblica piazza.
Pertanto, intervenendo direttamente sull’organizzazione e sullo svolgimento del servizio di NCC, il legislatore statale ha inteso adottare misure volte ad assicurare l’effettiva destinazione dei due servizi a utenze specifiche e oggettivamente distinguibili, per evitare interferenze tra di essi e quindi una più efficace allocazione delle risorse del servizio pubblico. Così ricostruita la ratio dell’intervento statale in questione, la Corte ha concluso che esso può astrattamente rientrare nella materia della tutela della concorrenza di competenza trasversale dello Stato.
Valutazione di adeguatezza e proporzionalità delle misure legislative introdotte dallo Stato
Nel procedere a tale valutazione la Corte precisa che “il test di proporzionalità richiede di valutare se la norma oggetto di scrutinio con la misura e le modalità di applicazione stabilite, sia necessarie e idonea al conseguimento di obiettivi legittimamente perseguiti, in quanto, tra più misure appropriate, prescriva quella meno restrittiva dei diritti a confronto e stabilisca oneri non sproporzionati rispetto al perseguimento di detti obiettivi”.
Ad esito della valutazione effettuata sulla base di tali criteri, la Corte afferma che l’unica disposizione tra quelle impugnate che non supera tale test è il secondo periodo del comma 4 dell’art. 11, della L. n. 21 del 1992, come sostituito dall’art. 10-bis, comma 1, lettera e) del D.L. n. 135 del 2018. Tale disposizione prevede l’obbligo di iniziare e terminare ogni singolo servizio di NCC presso le rimesse, con ritorno alle stesse. Invero, secondo quanto sostenuto dalla Corte Costituzionale tale “prescrizione non è solo in sé irragionevole – come risulta evidente se non altro per l’ipotesi in cui il vettore sia chiamato a effettuare un servizio proprio dal luogo in cui si è concluso il servizio precedente – ma risulta anche sproporzionata rispetto all’obiettivo prefissato di assicurare che il servizio di trasporto sia rivolto a un’utenza specifica e non indifferenziata, in quanto travalica il limite della stretta necessità, considerato che tale obiettivo è comunque presidiato dall’obbligo di prenotazione presso la sede o la rimessa e da quello, previsto all’art. 3, comma 2, della legge n. 21 del 1992, di stazionamento dei mezzi all’interno delle rimesse”.
Sulla scorta di quanto sopra la Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 10-bis, comma 1, lettera e), del D.L. n. 135 del 2018 nella parte in cui ha sostituito il secondo periodo del comma 4 dell’art. 11 della L. n. 21 del 1992 introducendo tale obbligo.
Sulle restanti disposizioni impugnate, la Corte ha precisato in primo luogo che esse modificano l’assetto regolamentare previgente riducendo nel complesso, e non ampliando, i vincoli restrittivi al servizio di NCC. Il previgente obbligo per gli NCC di avere una rimessa nel solo comune di autorizzazione è infatti stato attenuato con l’introduzione della possibilità di avere una o più rimesse anche nel territorio provinciale. In secondo luogo, la Corte ha ritenuto non sproporzionate o inadeguate, e quindi rientranti nell’alveo della competenza statale trasversale a tutela della concorrenza, anche l’obbligo per gli NCC di mantenere un registro (cartaceo, fino a disponibilità di quello elettronico) dei servizi effettuati, nonché l’obbligo di ricevere le richieste di prenotazione presso la rimessa o la sede (vista anche l’espressa introduzione della possibilità di utilizzo di piattaforme tecnologiche di intermediazione), poiché tali previsioni non inficiano l’obiettivo di bilanciamento indicato sopra e sembrano coerenti e funzionali al suo conseguimento.
[1] Ex plurimis, V. Corte Cost. sentenze n. 49/2014, n. 30/2016, n. 265/2016.
[2] Ex plurimis, V. Corte Cost. sentenze n. 137/2018, n. 452 e n. 401/2007. In uno dei precedenti richiamati dalla Corte, l’esercizio di bilanciamento operato dallo Stato tramite la legge era atto a definire il punto di equilibrio fra il libero esercizio dell’attività di trasporto tramite autobus non di linea e altri interessi pubblici interferenti con esso.
[3] Si riporta il paragrafo della sentenza in cui viene espresso questo concetto: “Tale bilanciamento, nel cui ambito la valutazione degli interessi confliggenti deve essere intesa sempre in senso sistemico, complessivo e non frazionato, può dunque condurre a un esito in forza del quale la tutela della concorrenza «si attua anche attraverso la previsione e la correlata disciplina delle ipotesi in cui viene eccezionalmente consentito di apporre dei limiti all’esigenza di tendenziale massima liberalizzazione delle attività economiche» (sentenza n. 30 del 2016, che richiama la sentenza n. 49 del 2014)”.