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Le norme europee in tema di sperimentazioni sui medicinali non includono previsioni sulle sanzioni, bensì lasciano agli Stati membri il compito di delineare un efficace impianto sanzionatorio. Su questo punto, da ultimo, il Regolamento (UE) 2014/536 (“Regolamento”) all’art. 94 prevede che “Gli Stati membri stabiliscono il regime sanzionatorio applicabile alle violazioni del presente regolamento e adottano tutte le misure necessarie per garantirne l’effettiva applicazione”.
Regime sanzionatorio
Come noto, in Italia, il regime sanzionatorio in materia è stato delineato – fatte salve le condotte che possono integrare reato – dai decreti legislativi n. 211/2003 (art. 22) e n. 200/2007 (art. 41), che articolano una serie di sanzioni sia di carattere pecuniario sia relative alla sospensione dalle attività di sperimentazione, che possono essere irrogate da Aifa quale autorità competente ai sensi del d.lgs. 52/2019 (artt. 1 e 2).
Quale sorte per le sanzioni contenute nel d.lgs. 211/2003?
Se tuttavia il d.lgs. 200/2007 è stato emanato in attuazione della Direttiva 2005/28/CE, tutt’ora vigente, il d.lgs. 211/2003 è stato adottato in attuazione della Direttiva 2001/20/CE che è stata invece espressamente abrogata dal Regolamento, come previsto all’art. 96, rimanendo tale Direttiva applicabile solamente in taluni casi. Pertanto, ci si chiede quale sorte sia riservata alle sanzioni amministrative contenute nel d.lgs. 211/2003, che peraltro sono le più numerose. Manca, infatti, ad oggi un intervento del legislatore o dell’autorità sul punto, come invece avvenuto per i dispositivi medici dapprima con la Circolare del Ministero della Salute del 12 novembre 2021 ed in seguito con il d.lgs. 137/2022 entrato in vigore lo scorso 29 settembre. Anche in questo caso la normativa europea – Regolamento (UE) 2017/745 – aveva abrogato la previgente disciplina comunitaria in attuazione della quale era stata adottata quella nazionale che conteneva, fra le altre, anche le disposizioni sanzionatorie. Tuttavia, il Ministero con la predetta Circolare aveva chiarito che le norme contenute nei decreti attuativi delle norme europee abrogate, laddove non incompatibili con il Regolamento, dovevano ritenersi ancora applicabili e, tra queste, anche quelle sanzionatorie, sino all’intervento del legislatore che con il d.lgs. 137/2022 ha ridisegnato anche il sistema delle sanzioni per le violazioni delle norme poste dal Regolamento.
La disciplina transitoria prevista all’art. 98 del Regolamento
L’abrogazione deve fare i conti con la disciplina transitoria prevista all’art. 98 del Regolamento, la quale da un lato consente ai promotori di presentare in via alternativa e sino al 31 gennaio 2023 domande di autorizzazione alla sperimentazione clinica sulla base della precedente normativa, e dall’altro prescrive che in ogni caso le sperimentazioni già avviate conformemente alla direttiva potranno rimanere da questa disciplinate sino al 31 gennaio 2025. In altre parole, la Direttiva 2001/20/CE (e relative norme nazionali attuative) continuerà a disciplinare talune sperimentazioni, cosicché anche le sanzioni previste dalle relative norme di attuazione – nel caso italiano il d.lgs. 211/2003 – potranno considerarsi ancora vigenti e applicabili.
Il quadro sanzionatorio
Per le domande di sperimentazione presentante ai sensi della disciplina europea, invece, in mancanza di indicazioni da parte del legislatore e del ministero, ci si può interrogare su quale sia il quadro sanzionatorio di riferimento. In tali ipotesi, si può ritiene che, analogamente a quanto accaduto nel caso dei dispositivi medici menzionato in precedenza, le sanzioni ad oggi previste dai decreti legislativi 211/2003 e 200/2007 siano ancora applicabili nella misura in cui compatibili con il Regolamento, come invece avvenuto per i dispositivi medici. Seppure anche questa lettura sia passibile di critiche da un punto di vista giuridico, una diversa interpretazione porterebbe a esiti paradossali e discriminatori rendendo le medesime condotte sanzionabili o meno a seconda che la domanda di autorizzazione alla sperimentazione sia stata inoltrata in base al previgente o al nuovo quadro normativo. E questa conclusione non sembra accettabile.
Gli illeciti penali e la rilevanza di controlli e misure preventive
Il quadro sanzionatorio nazionale sopra delineato fa naturalmente salva la responsabilità per condotte che possono altresì costituire reato. Sono varie le fattispecie penali che si potrebbero configurare in astratto nell’ambito della conduzione di una sperimentazione. Basti pensare ai delitti contro la pubblica amministrazione quali corruzione e concussione, in particolare nei rapporti fra il promotore e l’autorità o i comitati etici; o ancora, i reati connessi a false attestazioni del promotore nei rapporti con l’amministrazione nella fase di presentazione della domanda.
Adozione di adeguati controlli e presidi
A tale riguardo è certamente di primaria importanza, sia per le aziende sia per le strutture pubbliche, l’adozione di adeguati controlli e presidi volti ad impedire la commissione di reati. È interessante notare che gli stessi modelli di contratto di sperimentazione disponibili sul sito web di Aifa e predisposti dal Centro di coordinamento nazionale dei comitati etici, all’art. 13, richiedono espressamente alle parti di “rispettare la normativa anticorruzione applicabile in Italia” ed in particolare richiedono alle strutture pubbliche di dare conto di avere adottato il piano triennale per la prevenzione della corruzione, ed alle aziende private di avere adottato “misure di vigilanza e controllo” ai fini del rispetto e dell’attuazione del d.lgs. 231/2001.
Il Modello 231
Proprio in forza di questa previsione, l’adozione da parte dello sponsor e/o della Cro di un modello di organizzazione, gestione e controllo (c.d. Modello 231), di per sé non obbligatoria per legge, diventa un elemento necessario per la conduzione di sperimentazioni cliniche, considerato che l’utilizzo del nuovo standard contrattuale è previsto e richiesto dalla legge (art. 2, Legge n. 3/2018). A testimonianza dell’importanza riservata a tale tematica, lo standard contrattuale prevede che la violazione delle previsioni dell’art. 13 costituisce grave inadempimento e permette all’altra parte di risolvere il contratto ai sensi dell’art. 1456 c.c. Inoltre, considerato che l’utilizzo dei nuovi standard contrattuali è previsto dalla legge, si potrebbe argomentare che la mancata adozione del Modello 231 determini la violazione di una norma imperativa di legge e dunque il relativo contratto sia, in tutto o in parte, nullo in forza degli artt. 1418 e seguenti del Codice Civile.
Le eccezioni
Una questione pratica che si pone proprio con riferimento all’art. 13 dello standard contrattuale riguarda i casi in cui l’azienda promotrice (o la Cro) non sia una società di diritto italiano e dunque non sia dotata di un Modello 231. Lo standard, come detto, ha base legale ed è tendenzialmente non modificabile, salvo sia necessario in relazione alle specificità e peculiarità della sperimentazione (in tale senso, espressamente, le stesse premesse al modello contrattuale). In questi casi la soluzione preferibile potrebbe essere motivare la modifica allo standard – come richiesto nelle stesse premesse – segnalando il rispetto da parte della società di tutte quelle norme che nell’ordinamento straniero possono dirsi analoghe o comunque simili, per contenuti e finalità, a quelle nazionali che impongono l’adozione del Modello 231. Far leva sulla possibilità di modificare lo standard per adattarlo alle specifiche situazioni potrebbe essere anche un modo per gestire una situazione cui uno sponsor non sia dotato del Modello 231, considerato che, come indicato in precedenza, l’adozione di tale modello non è obbligatoria per legge e introdurre questo obbligo tramite standard contrattuale può risultare discutibile. In tal caso la questione si sposterebbe su un piano negoziale nei rapporti tra sponsor e centro sperimentale.