Pubblicità dei farmaci: nuove indicazioni dall’Europa

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Questo articolo è stato pubblicato il 12 maggio 2023 su AboutPharma.com, all’interno della nostra rubrica “Digital impact in Life Sciences: Legal Corner”.

Nessuna rivoluzione dall’Europa sulla pubblicità dei farmaci. Se la recentissima proposta di riforma della Direttiva quadro sui medicinali 2001/83/CE, adottata dalla Commissione Europea lo scorso 26 aprile, venisse confermata nel testo attuale, poco cambierebbe in relazione ai limiti legali alla pubblicità di farmaci al pubblico e ai medici. La proposta, che si colloca nell’alveo del più generale progetto di riforma della legislazione farmaceutica avviato nell’Ue (il testo è disponibile sul sito web della Commissione Europea) non apporta cambiamenti sostanziali in tema di comunicazione, in quanto gli articoli da 175 a 187 riproducono con modifiche prevalentemente formali quanto già previsto dall’attuale Titolo VIII della Direttiva (articolo 86 e seguenti). Se dunque l’impianto generale sulla pubblicità dei farmaci viene confermato, si segnalano però alcune modifiche degne di nota:

  • l’ampliamento della definizione di pubblicità dei medicinali per ricomprendere anche (a) quella rivolta a soggetti autorizzati non solo a prescrivere e dispensare i medicinali, ma anche ad amministrarli (quindi sostanzialmente agli infermieri) e (b) la pubblicità relativa a medicinali genericamente intesi senza riferirsi a specifici farmaci (principio che discende chiaramente dalla recente pronuncia della Corte di giustizia del 22 dicembre 2022, causa C-530/20); e
  • la possibilità di fornire campioni gratuiti di farmaci non soggetti a prescrizione medica anche ai farmacisti (anche questa previsione si pone sulla scia della sentenza della Corte di Giustizia dell’11 giugno 2020 (causa C-786/18).

Queste previsioni rafforzano il ruolo di farmacisti ed infermieri come soggetti destinatari di campagne di promozione/comunicazione sui medicinali, sulla scia delle pronunce della Corte di giustizia e delle recenti novità del Codice di Farmindustria introdotte nell’aprile 2022.

Un tema cruciale

Non v’è dubbio che l’attività di comunicazione rivolta a medici e pazienti rappresenti per le aziende farmaceutiche un tema cruciale e che l’utilizzo sempre maggiore dei canali digitali nelle interazioni con il pubblico e i diversi stakeholders abbia posto nuove sfide e nuovi interrogativi riguardo le responsabilità e gli oneri a carico delle aziende farmaceutiche che si avvalgono di tali strumenti.

Sebbene i princìpi e le regole alla base di una corretta comunicazione rimangano quelli stabiliti dalle norme generali, a partire dalla Direttiva 2001/83/CE trasposta a livello nazionale nel Codice del farmaco (dlgs 219/2006), il particolare contesto che caratterizza le comunicazioni sul web (siti aziendali e di terzi, blog, forum, etc.) e sulle piattaforme social impone alle aziende di adottare cautele ulteriori, anche in considerazione della platea potenzialmente indeterminata di destinatari e delle nuove possibilità di interazione che gli strumenti digitali offrono agli utenti.

La posizione di Ifpia ed Efpia

A livello sovranazionale questo specifico tema è stato di recente affrontato dalla Joint Note for Guidance on social medica and digital channels pubblicata lo scorso 28 settembre dall’International Federation of Pharmaceutical Manufacturers & Associations (Ifpa) e dall’European Federation of Pharmaceutical Industries and Associations (Efpia). Tale nota declina i principi per l’utilizzo dei canali digitali da parte delle aziende già previsti dall’Allegato numero 2 del Codice Efpia. Il documento, seppur non vincolante, costituisce una guida utile per calare nel contesto digitale le regole poste dalle norme europee e nazionali sul tema della comunicazione in ambito farmaceutico.

Comunicazione e pubblicità

Le aziende che intraprendono campagne di comunicazione sui canali digitali devono in primo luogo tenere conto della distinzione fra “mera” attività di informazione e pubblicità quale azione in qualunque modo “intesa a promuovere la prescrizione, la fornitura, la vendita o il consumo di medicinali”, secondo la definizione di cui all’articolo 113 del decreto 219/2006 e l’articolo 86 della Direttiva 2001/83/CE. Se infatti la comunicazione non promozionale può dirsi tendenzialmente libera e non soggetta a particolari vincoli dal punto di vista strettamente regolatorio, la pubblicità di medicinali è sottoposta alla stringente regolamentazione del Codice del farmaco, che in taluni casi la vieta ed in altri impone regole e procedure ad hoc, differenziate a seconda che la pubblicità sia rivolta al pubblico o ai medici: la pubblicità rivolta al pubblico è possibile solo per farmaci senza obbligo di prescrizione e deve essere preventivamente autorizzata dal Ministero secondo quanto previsto all’articolo 118 del dlgs 219/2006. Se rivolta ai medici, i materiali devono essere preventivamente depositati presso Aifa. L’ampia portata della definizione di pubblicità sopra richiamata è testimoniata anche da una recente pronuncia della Corte di Giustizia europea del 22 dicembre 2022, nella causa C-530/20, che ha qualificato come pubblicitaria un’iniziativa commerciale realizzata tramite sconti ed altre offerte promozionale su farmaci, anche se avente ad oggetto farmaci indeterminati e non specifici prodotti ben individuati.

I confini già previsti

Per espressa previsione legislativa, non è considerata pubblicità di medicinali:

  • l’etichettatura e il foglio illustrativo;
  • la corrispondenza necessaria per rispondere a una richiesta precisa e non sollecitata di informazioni su un determinato medicinale;
  • le informazioni concrete e i documenti di riferimento riguardanti, ad esempio, i cambiamenti degli imballaggi, le avvertenze sugli effetti indesiderati nell’ambito della farmacovigilanza, i cataloghi di vendita e gli elenchi dei prezzi, purché non vi figurino informazioni sul medicinale;
  • le informazioni relative alla salute umana o alle malattie umane, purché non contengano alcun riferimento, neppure indiretto, a un medicinale (disease awareness).

Inoltre, rimane al di fuori dell’ambito di applicazione del Codice del farmaco la cosiddetta pubblicità istituzionale, ovvero quella forma di pubblicità che “promuove l’immagine o il logo di un’impresa, senza alcuna estensione, neppure indiretta, ai prodotti ad essa – a qualunque titolo – ascrivibili”, come da definizione fornita dalle Linee guida ministeriali sulla pubblicità dei medicinali non soggetti a prescrizione medica.

Trasparenza sul coinvolgimento dell’azienda

La comunicazione sui canali digitali impone in primo luogo alle aziende oneri marcati di trasparenza, in quanto il particolare contesto digitale rende possibili in taluni casi fraintendimenti e zone d’ombra in relazione alla paternità delle informazioni indirizzate a medici e pazienti. Si pensi ad esempio a contenuti informativi pubblicati su siti web, blog, forum e social media appartenenti a soggetti terzi e non direttamente riferibili all’azienda. Per tali ragioni le aziende devono essere pienamente trasparenti riguardo ai materiali informativi che producono o in qualsiasi modo sponsorizzano, finanziano e supportano anche sul web, chiarendo in particolare:

  • se il messaggio origina dall’azienda;
  • qualora di terzi, se l’azienda ne ha influenzato in qualsiasi modo i contenuti;
  • se invece si tratta di una mera sponsorizzazione. In questo ultimo caso, ciò si è tradotto nella oramai nota formula “con il contributo non condizionato di” che accompagna i messaggi sponsorizzati dalle aziende.

Il Codice di Farmindustria

Questa regola è messa nero su bianco a livello sovranazionale dal codice Efpia (nonché dalla Joint Note citata sopra) mentre a livello nazionale la ritroviamo nel Codice di Farmindustria, che richiede che ogni sito internet predisposto da un’azienda italiana o operante in Italia, che sia diretto al pubblico o agli operatori italiani, identifichi chiaramente “lo sponsor la fonte di tutte le informazioni riportate sul sito stesso, i destinatari di tali informazioni, e gli obiettivi del sito”, garantendo inoltre aree di accesso riservate alla classe medica e ai farmacisti per tutti i contenuti pubblicitari a loro indirizzati (articolo 4.5), di modo che non siano raggiungibili dal grande pubblico. Sul tema delle aree ad accesso riservato, il documento di Domande&Risposte sull’informazione medico scientifica di Aifa, aggiornato lo scorso 3 maggio, specifica che la procedura di iscrizione alle pagine riservate deve prevedere idonee modalità di accertamento della reale identità dell’utente.

Le responsabilità

Come regola generale, le aziende sono responsabili di tutti i contenuti presenti sui canali digitali, social media compresi, che sono stati prodotti, brandizzati e/o sponsorizzati dall’azienda o da una terza parte che agisce per suo conto. È naturalmente possibile immaginare diversi livelli di responsabilità a seconda che il contenuto origini direttamente o indirettamente (in quanto commissionato a terzi) dall’azienda, oppure sia stato autonomamente sviluppato da terzi e in seguito meramente sponsorizzato dall’azienda. In quest’ultimo caso si possono ipotizzare anche scenari concreti in cui la responsabilità per la non corretta comunicazione ricada integralmente sul terzo, ad esempio qualora la società farmaceutica non abbia alcuna visibilità e controllo sui contenuti, in quanto si limita a concedere un supporto finanziario.

L’ambito di controllo

La responsabilità dell’azienda nel contesto digitale può declinarsi anche in oneri di sicurezza informatica, di monitoraggio adeguato delle attività e oneri di farmacovigilanza. Riguardo il monitoraggio, non può essere richiesto all’azienda un generico dovere di controllo in relazione a tutti i contenuti presenti online e potenzialmente riconducibili alla sua attività. Ciò che è richiesto è un controllo attivo di tutti i contenuti presenti su pagine aziendali o su pagine di terzi qualora commissionati o sponsorizzati dalla stessa. Non è possibile, tuttavia, escludere potenziali profili di responsabilità anche con riferimento a contenuti indipendenti di terzi, ad esempio su un social media, qualora al contenuto sia associato un hashtag riferibile all’azienda e questa, potendo venire a conoscenza del messaggio illegittimo, non si attivi per porre in essere le misure più adeguate.

Il ruolo dei dipendenti

Riguardo la responsabilità per i contenuti diffusi dai propri dipendenti anche attraverso profili e account privati, come anche riportato nella Joint Note di Ifpia/Efpia, le aziende possono essere ritenute responsabili, a livello generale, se nel messaggio il dipendente può ragionevolmente apparire come rappresentante dell’azienda e l’azienda ha in qualsiasi modo determinato, indirizzato o facilitato la diffusione del messaggio. Quanto alla farmacovigilanza, le stesse linee guida sulle Good Pharmacovigilance Practices (Gvp) prevedono esplicitamente l’onere per il titolare di AIC di eseguire con cadenza regolare verifiche e controlli sui canali sotto la sua gestione o responsabilità, per ricercare potenziali segnalazioni di reazioni avverse da notificare all’autorità, consentendo altresì al titolare la possibilità di utilizzare il web per facilitare la raccolta di segnalazioni di sospette reazioni avverse.

Quali cautele per le aziende

Il principale accorgimento per mitigare i rischi di una possibile responsabilità dell’azienda per contenuti diffusi sul web è quello di adottare linee guida e policy specifiche per le attività di comunicazione svolte online e per la farmacovigilanza, anche differenziandole ove necessario in relazione allo specifico canale di riferimento. I social media in particolare (ma anche blog e forum), consentendo ampie possibilità di interazione agli utenti, potrebbero necessitare di regole ad hoc per il loro utilizzo. A ciò dovrebbero accompagnarsi anche specifiche sessioni di training per i propri dipendenti e fornitori di servizi terzi, precedute da un’attenta selezione dei profili professionali che opereranno online per conto dell’azienda.

L’accordo con i provider

Inoltre, nel caso di esternalizzazione di servizi di comunicazione e/o gestione di piattaforme aziendali a terzi, di pari importanza è la contrattualizzazione puntuale degli obblighi a carico del provider, a partire da clausole specifiche sui contenuti che possono essere diffusi sui vari canali (e su quelli che invece non devono essere diffusi). Tale contrattualizzazione deve essere accompagnata da previsioni sul risarcimento del danno e indennizzo in favore dell’azienda nel caso di mancato rispetto degli obblighi contrattuali da parte del provider. Tali clausole, sebbene non escludano a priori la responsabilità dell’azienda sia nei confronti degli utenti del web che di fronte alle autorità di controllo, possono tuttavia mitigarne eventuali conseguenze dannose.

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