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Nessun reato: i medicinali – anche a prescrizione – a certe condizioni si possono ricevere e distribuire al pubblico anche al di fuori del canale farmacia. Lo ha stabilito la Corte di Cassazione, sezione sesta penale, con la sentenza numero 48839 del 10 novembre 2022.
La Suprema Corte si è soffermata sulla configurabilità del reato di esercizio abusivo della professione di farmacista, ai sensi dell’articolo 348 del codice penale, in capo all’esercente di altra attività commerciale che, sulla base di specifici accordi con la farmacia, consegni i medicinali ai clienti per conto della farmacia stessa, in particolare consentendone il ritiro presso i propri punti vendita.
Per la Cassazione, quindi, il commerciante che si interponga nella vendita di medicinali limitandosi alla mera consegna dei prodotti ai clienti, precedentemente ordinati presso la farmacia, non svolge attività di somministrazione e commercio di farmaci al pubblico e pertanto la sua condotta non configura il reato descritto.
I fatti di causa
Il giudizio trae origine da un’iniziativa realizzata congiuntamente da una farmacista e da alcuni negozianti, per consentire ai clienti della farmacia il ritiro di prodotti farmaceutici (sia etici che OTC/SOP) presso tali negozi.
In particolare, i medicinali venivano consegnati dalla farmacia all’esercizio prescelto dal cliente, previa ricezione del relativo ordine e della ricetta medica se necessaria alla dispensazione. In seguito, ciascun cliente poteva recarsi presso l’esercizio commerciale a ritirare i medicinali, trovandoli confezionati e riposti in buste chiuse intestate alla farmacia, con al loro interno il nominativo del cliente e lo scontrino fiscale. Da quanto emerge dalla sentenza, in talune circostanze il prezzo veniva pagato dal cliente direttamente nelle mani dell’esercente commerciale individuato per il ritiro dei prodotti.
Le accuse formulate e rigettate
La farmacista e i titolari dei negozi coinvolti nell’iniziativa sono stati rinviati a giudizio e condannati in primo grado dal Tribunale di Messina, in concorso fra loro, per il reato di esercizio abusivo della professione di farmacista ai sensi dell’articolo 348 c.p. In particolare, i titolari degli esercizi commerciali, accettando di ricevere i medicinali dalla farmacia per la loro successiva consegna ai pazienti, avrebbero svolto attività di somministrazione e vendita di medicinali al pubblico che la legge riserva esclusivamente alla figura del farmacista. Tali conclusioni non sono state accolte dalla Corte di Appello di Messina, che a seguito di ricorso proposto dagli imputati ha riformato la decisione di primo grado e con sentenza resa l’11 febbraio 2022 ha assolto gli imputati con formula piena, perché il fatto non sussiste. La decisione è stata poi impugnata dal Procuratore Generale e dalle parti civili avanti la Corte di Cassazione.
La decisione della Corte
La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibili i ricorsi e ha confermato l’assoluzione già pronunciata dai giudici di appello. Sulla base delle evidenze probatorie, la Suprema Corte ha ritenuto che l’attività di ricezione e distribuzione svolta dagli esercenti commerciali in accordo con le farmacie non costituiva vendita o dispensazione di medicinali al pubblico, non essendo stato compiuto al di fuori dei locali della farmacia alcun atto tipico della professione di farmacista.
Le motivazioni
Infatti i medicinali regolarmente ordinati dai pazienti (anche previa trasmissione della ricetta) venivano spediti dalla farmacia ai negozi nelle loro confezioni, all’interno di buste chiuse intestate alla farmacia. Il pagamento dei medicinali, benché effettuato anche nelle mani dei negozianti, è stato ritenuto “pacificamente destinato al farmacista”, atteso che le buste contenevano altresì lo scontrino emesso dalla farmacia nei confronti dei pazienti.
I negozianti si sarebbero dunque limitati a una mera attività materiale consistente nella ricezione e nella consegna ai pazienti dei medicinali, senza sovrapporsi o sostituirsi al farmacista in attività ad esso riservate dalla legge. Di conseguenza, la condotta tenuta dagli imputati è stata ritenuta diversa e non corrispondente alla fattispecie di reato dell’esercizio abusivo di una professione. In ogni caso, la Corte ha ravvisato anche la mancanza dell’elemento soggettivo del reato, nel caso di specie il dolo, non risultando provata la consapevolezza e la volontà degli imputati di svolgere attività proprie della professione del farmacista senza averne titolo.
Infine, con specifico riferimento alla posizione della farmacista, originariamente condannata ai sensi dell’articolo 348 c.p. in concorso con gli esercenti commerciali, la Corte ha ritenuto erronea la contestazione, presupponendo tale reato, nel caso specifico, l’assenza dell’abilitazione alla professione di farmacista e dell’iscrizione nel relativo albo. Al farmacista potrebbe semmai contestarsi la fattispecie amministrativa di cui all’articolo 122 TULS, che sanziona la vendita di medicinali realizzata al di fuori della farmacia. Tuttavia, nel caso di specie, la Corte ha ritenuto che tutte le attività di dispensazione e vendita riservate al farmacista avvenissero all’interno dei locali della farmacia e non presso i negozianti.
Le ricadute sui servizi di consegna di medicinali affidati a terzi
Riguardo il coinvolgimento di soggetti diversi dal farmacista nella distribuzione di medicinali al pubblico, la pronuncia della Corte di Cassazione si sofferma, per sua stessa natura, sui soli profili di liceità della condotta dal punto di vista penale, fornendo indicazioni utili a differenziare ciò che può essere considerato mera attività materiale di consegna dei prodotti, di per sé lecita, e ciò che invece costituisce attività riservata dalla legge alla figura del farmacista. Queste precisazioni sono molto importanti anche ai fini della valutazione delle piattaforme online di home-delivery di farmaci. Infatti, dal momento che la consegna a domicilio non è regolamentata nelle sue modalità (se non in termini molto generali), è particolarmente importante trarre da pronunce come questa alcuni spunti e criteri direttivi.
A livello generale, l’attività di consegna di medicinali presso luoghi diversi dalla farmacia, e in particolare presso il domicilio dei pazienti, è presa in considerazione dal codice deontologico del farmacista (articolo 30), che consente espressamente al professionista di organizzare iniziative di home-delivery di prodotti farmaceutici (in astratto, è possibile ipotizzare consegne anche in luoghi diversi dal domicilio, in accordo con il paziente) purché la consegna sia preceduta dalla spedizione della ricetta in originale da parte del paziente e sia garantita la sicurezza e la corretta conservazione dei medicinali nelle fasi di trasporto e consegna.
Ciò premesso, nulla vieta che dal punto di vista logistico il farmacista si avvalga dell’opera di soggetti terzi (ed anzi, questa potrebbe apparire la regola, non essendo di norma le farmacie dotate di mezzi propri per fare fronte alle consegne).
Servono accordi specifici
In questi casi il farmacista dovrà sottoscrivere accordi specifici con i soggetti incaricati del trasporto e della consegna dei medicinali, tenendo in considerazione che il farmacista è responsabile della corretta conservazione dei prodotti anche nel contesto della consegna a domicilio. Naturalmente, elementi quali la tipologia di medicinali interessati e lo stato dei luoghi dove è effettuata la consegna potrebbero in taluni casi sconsigliare o impedire la consegna dei medicinali in luoghi diversi dalla farmacia.
I princìpi ricavabili dalla sentenza
Sono sempre più numerosi i servizi di home-delivery offerti tramite piattaforme digitali, anche predisposte e gestite da soggetti terzi che hanno stipulato accordi con le farmacie. In questi casi è possibile ipotizzare anche sistemi di “prenotazione” dei medicinali che consentano al paziente di delegare i titolari della piattaforma (o eventuali subdelegati, come i corrieri) all’acquisto dei prodotti in nome e per conto del paziente stesso, purché nel caso di medicinali con obbligo di prescrizione la ricetta sia preventivamente trasmessa alla farmacia e l’acquisto avvenga presso la farmacia ad opera del delegato del paziente: secondo lo schema del mandato con rappresentanza, in questi casi l’acquisto compiuto dal delegato in nome e per conto del paziente si produce direttamente e immediatamente in capo al paziente stesso. Naturalmente, è necessario che la piattaforma dedicata alla prenotazione dei medicinali sia strutturata in modo tale da non violare le specifiche norme che regolano la promozione e la vendita di medicinali online. Inoltre, dovrà essere garantita la tutela della riservatezza dei pazienti, aspetto particolarmente delicato nel caso di coinvolgimento di soggetti terzi nella distribuzione del medicinale, in primo luogo attraverso l’adozione di misure che non consentano al terzo incaricato della consegna di conoscere la tipologia di farmaco indirizzato al paziente. A tale riguardo, quanto si legge nella sentenza in esame circa il fatto che i farmaci venivano consegnati agli esercizi commerciali “in busta chiusa con l’intestazione della farmacia” sembra andare proprio in questo senso.