Politica dei dazi nella nuova amministrazione USA: alcune prime riflessioni sugli impatti legali ed operativi per le imprese

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Nell’iniziale scenario di guerra commerciale avviato da Trump attraverso l’imposizione di una politica a rialzo di dazi, le principali economie europee e mondiali si interrogano sull’impatto dell’introduzione di tali misure e su come poter reagire efficacemente. Alcuni Stati hanno già previsto dazi commerciali per reagire alla politica aggressiva di Trump (come la Cina) o lamentato la violazione di accordi internazionali (come lo United State-Mexico-Canada Agreement)[1]. L’Europa da parte sua, dopo il naufragare dell’accordo di partenariato transatlantico per il commercio e gli investimenti (TTIP) che avrebbe dovuto introdurre una zona di libero scambio USA/UE  ha avviato un confronto interno per valutare le possibili reazioni alla nuova politica tariffaria statunitense sospendendo ogni decisione fino alla definizione dello scenario attuale, sospeso dall’amministrazione USA per 90 giorni rispetto alle annunciate misure.

Nondimeno, sul versante operativo, rispetto alle tariffe attualmente già in vigore nell’UE (che ricordiamo essere il 25% su acciaio ed alluminio ed automotive ed una tariffa base ad valorem del 10% al netto della eventuale presenza di un minimo del 20% di parti made in USA e di alcuni settori tra i quali vi è il farmaceutico), se gli importatori USA devono  porre estrema cautela per evitare il potenziale rischio di applicazione di aliquote errate rispetto agli aumenti in vigore, gli esportatori unionali, saranno verosimilmente chiamati ad un onere di maggiore diligenza nel fornire il corretto supporto a fini dichiarativi e d’importazione. Difatti, uno dei più significativi strumenti che potrebbero essere utilizzati dall’amministrazione statunitense per intensificare gli effetti della nuova politica doganale, è un maggiore utilizzo del False Claims Act (FCA), che proibisce l’elusione consapevole e impropria di qualsiasi obbligo di pagare denaro al governo federale. Le frodi doganali potrebbero quindi diventare un ulteriore fronte nella guerra dei dazi aperta dall’amministrazione Trump.

La classificazione doganale sarà quindi essenziale per attribuire un codice tariffario che descrive la natura e le caratteristiche della merce. Nell’Unione Europea, la nomenclatura combinata (codici HS) consente questa classificazione, identificando dazi applicabili. Assegnare correttamente il codice doganale è un obbligo legale con importanti implicazioni fiscali e operative per le imprese che molto spesso delegano tali attività a soggetti esterni (quali società di spedizioni o simili). Errori nella classificazione possono comportare sanzioni, pagamenti retroattivi di diritti doganali, blocco delle merci, o compromettere lo status di esportatore autorizzato e registrato o di operatore economico autorizzato (AEO). Sarà quindi molto importante che le imprese adottino un approccio strutturato, curandosi in prima battuta di verificare correttamente le voci e la corretta compilazione della documentazione doganale per minimizzare sanzioni o i rischi di contenzioso tenendo presente che le autorità doganali possono riesaminare le dichiarazioni post-importazione e contestare errori nella classificazione delle merci, con rilevanti conseguenze di enforcement nella politica dei dazi che per gli importatori USA, come detto potrebbero anche comportare il rischio di attivazione del FCA.

Passando invece ai settori attualmente esclusi tra i quali vi è il farmaceutico, di particolare interesse rimane il position paper adottato dall’associazione Medicines for Europe[2], che rappresenta le industrie operanti nel settore dei farmaci equivalenti e biosimilari, nel quale si evidenziano i possibili impatti negativi derivanti dall’imposizione di nuovi regimi tariffari sul commercio EU-USA che attualmente beneficia della marcata cooperazione tra i due continenti, anche considerato che l’Europa è un importante fornitore di farmaci generici e di principi attivi per gli USA. Tra di essi si evidenziano: a) l’interruzione della catena di approvvigionamento dovuta ai nuovi dazi sui prodotti farmaceutici e principi attivi  importati negli Stati Uniti che aggraverebbero una catena di approvvigionamento già sotto stress, causando gravi carenze di medicinali; b) l’incremento della dipendenza da altre regioni, come l’UE e la Cina che metterebbe a rischio la sicurezza nazionale; c) l’aumento dei costi dei medicinali per i pazienti americani, incidendo sui premi assicurativi o sui pagamenti diretti, vanificando gli sforzi per ridurre i costi dei farmaci; d) il rischio di ritorsioni dall’UE che causerebbe ulteriori interruzioni nell’accesso ai medicinali sia in Europa che negli Stati Uniti; e) l’impatto sulla competitività per i produttori di medicinali generici e biosimilari, che operano con margini molto bassi e non sono in grado di assorbire questi ulteriori costi, ed infine, f) la riduzione dell’accesso dei pazienti ai trattamenti a causa degli aumentati costi con gravi implicazioni per la salute pubblica.


[1] Ciò ha portato il Canada ad avviare davanti al WTO già lo scorso marzo una dispute  lamentando la violazione del General Agreement on Tariffs and Trade (GATT) del 1994 e del WTO Trade Facilitation Agreement (TFA); case WT/DS634/1.

[2] https://www.medicinesforeurope.com/wp-content/uploads/2025/04/Medicines-for-Europe-Position-Paper-US-Tariffs-7-April-2025-1.pdf

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