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Con il termine caregiver si intende una persona che presta assistenza quotidiana a chi non è autosufficiente. Può trattarsi, a seconda dei casi, di un familiare del paziente o di una persona retribuita (il/la cosiddetto/a badante).
In base a un’indagine Istat del 2018, è generalmente una donna, di età superiore ai 50 anni (ma spesso anche 60) che dedica all’assistito almeno 20/25 ore a settimana.
A livello normativo, la figura del caregiver esiste dal 2017, quando è stata definita come “persona che assiste e si prende cura di specifici soggetti” (art. 1, commi 254-256, Legge n. 205/2017). Più precisamente, la norma definisce il caregiver familiare come la persona che assiste e si prende cura del coniuge, dell’altra parte dell’unione civile tra persone dello stesso sesso o del convivente di fatto ai sensi della legge 76/2016, di un familiare o di un affine entro il secondo grado, ovvero, in presenza di un handicap grave, di un familiare entro il terzo grado che, a causa di malattia, infermità o disabilità, anche cronica o degenerativa, non sia autosufficiente e in grado di prendersi cura di sé.
La normativa prende in considerazione il solo caregiver familiare, in quanto l’obiettivo dichiarato del legislatore è attribuire diritti e tutele a soggetti altrimenti sprovvisti, quali i familiari che si trovano a dedicare all’assistito gran parte della propria vita con sacrifici personali e spesso economici, senza avere un’adeguata tutela legale e sociale. Discorso diverso vale – naturalmente – per soggetti retribuiti per svolgere tali mansioni che sono (o dovrebbero essere) già tutelati dalla normativa giuslavoristica.
Lo studio di Humanitas sul caregiver digitale
Grazie a uno studio condotto da Humanitas e presentato in occasione della IV Giornata Afi (Associazione farmaceutici industria) dedicata al paziente, che si è svolta a Milano lo scorso 26 settembre, si è potuto tracciare un identikit della figura del caregiver, volto a definirne fabbisogni e modalità di interazione con i pazienti da un lato e le strutture sanitarie dall’altro.
In questa mappatura, una particolare attenzione è stata prestata all’analisi del ruolo giocato dagli strumenti digitali nel supporto alle necessità e alle attività dei caregiver. Caregiver che, all’interno della rete in cui sono inseriti, diventano, per usare il termine utilizzato da Humanitas, “carepartner”, ponendosi come riferimento della gestione dell’assistito sotto i vari punti di vista. I carepartner assumono ruoli diversi a seconda della tipologia di attività che sono loro demandate e del grado di coinvolgimento nella gestione della persona fragile (ad esempio possono operare in maniera diretta o indiretta sul paziente, intervenendo sull’assistito per le attività quotidiane o ponendosi come punto di riferimento della gestione dell’assistito sotto i vari punti di vista).
Gli ambiti di operatività del caregiver e l’accesso agli strumenti digitali
Lo studio condotto da Humanitas ha portato alla luce tre ambiti specifici di cui tradizionalmente si occupa un caregiver/carepartner: il percorso clinico dell’assistito; gli adempimenti amministrativi; il sostegno emotivo e sociale. In ciascuno di questi ambiti, il caregiver può essere supportato dagli strumenti digitali in misura e con modalità variabili.
In particolare, nell’ambito del percorso clinico, il caregiver al pari del paziente e del team di cura (medici, infermieri, etc.) partecipa al percorso terapeutico. Condivide e scambia informazioni sugli eventi clinici, effettua prenotazioni e coordina spostamenti, somministra farmaci e terapie.
In questo contesto, è evidente con quanta frequenza i caregiver si possano trovare ad utilizzare strumenti digitali a supporto dei loro assistiti. Ad esempio, per accedere al fascicolo sanitario elettronico della persona di cui si prendono cura, per effettuare prenotazioni di prestazioni cliniche, per ricevere e usare ricette digitali, per usufruire di servizi di telemedicina, dalla tele-visita al tele-monitoraggio, per usare app che si accompagnano a determinate terapie, per facilitare la socialità e il supporto emotivo della persona fragile.
Tali strumenti possono notevolmente semplificare e migliorare le vie di accesso alle cure per i pazienti, ma richiedono anche una serie di competenze e risorse.
Limiti di natura culturale e sociale
Al riguardo, un elemento fondamentale è l’alfabetizzazione sanitaria e digitale dei caregiver, come evidenziato anche dallo studio di Humanitas. In altri termini, è essenziale che il caregiver comprenda gli elementi fondamentali del funzionamento del sistema sanitario italiano (e questo non è scontato se pensiamo al caso di badanti stranieri), il linguaggio e le informazioni dei clinici, molto spesso tecniche e poco accessibili. Inoltre, deve essere in grado di utilizzare gli strumenti informatici e individuare di quali tra essi il proprio assistito possa effettivamente usufruire (es. essere informato sul fatto che per quella determinata condizione sono disponibili strumenti di monitoraggio da remoto o la possibilità di accedere a piattaforme e app amministrative e di svago).
Infine, devono essere concretamente disponibili gli strumenti informatici necessari per accedere al digitale. Ormai quasi tutti sono dotati di uno smartphone, ma già tablet o pc possono non essere ugualmente diffusi, soprattutto tra gli anziani.
Per quanto riguarda gli strumenti digitali, un aiuto a pazienti e caregiver può arrivare dalle farmacie di prossimità che, grazie alla legislazione sulla cosiddetta “farmacia dei servizi”, nel tempo si sono arricchite sempre più di servizi e strumenti informatici con cui possono fare da tramite tra i pazienti e le strutture sanitarie. In questa direzione si sta andando anche con l’istituzione delle case di comunità.
Certamente però una specifica formazione dedicata ai caregiver è fondamentale, dato il ruolo così importante che queste figure assumono nell’interlocuzione con le strutture sanitarie.
Limiti di natura giuridica
Come accennato in precedenza, non esiste una normativa che disciplini compiutamente il caregiver. Al di là del tentativo di disciplinare la figura del caregiver familiare, nell’ottica di attribuirle diritti e tutele legali (e in questa direzione si stanno muovendo numerosi disegni di legge presentati in Parlamento negli ultimi anni), non è però definito e tipizzato il suo ruolo (familiare o professionale che sia) nelle relazioni tra pazienti e la rete sanitaria e amministrativa.
In altri termini, laddove un caregiver svolga attività amministrative nel contesto sanitario per un paziente, normalmente ne assume l’identità digitale (ad esempio, utilizza generalmente username e password dei pazienti per accedere alle informazioni sanitarie online, effettuare prenotazioni, etc.). Inoltre, potrà aver bisogno di essere formalmente delegato dall’assistito in più occasioni, per effettuare attività in suo favore.
Questo perché il caregiver non ha un suo ruolo formalizzato nello svolgimento di queste attività. Laddove fosse possibile una nomina generalizzata del caregiver a svolgere attività amministrative in ambito sanitario in nome proprio e per conto dell’assistito, le interazioni risulterebbero più semplici (ad esempio il caregiver potrebbe avere un proprio profilo digitale attraverso il quale svolgere attività per il paziente da cui è stato nominato e al quale è stato associato).
Sfide per il futuro
In base ai dati riportati da Humanitas, si stima che in Italia i caregiver siano oggi tra i 7 e gli 8 milioni. Considerato che la popolazione over 80 nel 2070 dovrebbe essere intorno al 13%, questo numero già elevatissimo è destinato a crescere ancora. E ulteriormente cresceranno le complessità dei sistemi sanitari, della tecnologia e degli strumenti digitali che, se da un lato miglioreranno le interazioni e i trattamenti terapeutici, dall’altro richiederanno comunque uno sforzo sempre maggiore di comprensione ed esperienza.
È chiara dunque l’importanza di investire nella figura del caregiver, anche e sempre più, sotto il profilo delle competenze digitali.