Gli statuti nelle operazioni di private equity dal 2008 al 2012

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La riforma del diritto societario del 2004 ha previsto per gli statuti di società la possibilità di contenere pattuizioni tipiche delle operazioni di private equity (tag-along, drag-along, clausole di riscatto, etc.), mentre anteriormente alla riforma la maggior parte di tali clausole potevano essere esclusivamente inserite nei patti parasociali. Tale innovazione è stata unanimemente giudicata positivamente, in quanto consente maggiore flessibilità alle parti/soci di definire lo statuto sociale in maniera adeguata ai loro accordi.

Allo stesso tempo, la riforma ha però introdotto un limite massimo di durata per i patti parasociali di cinque anni.

Su un piano teorico, dall’effetto combinato di questa limitazione temporale e del nuovo contenuto possibile degli statuti sarebbe dovuto derivare il trasferimento all’interno degli statuti del contenuto dei patti parasociali, per evitare il limite dei cinque anni e per beneficiare dei vantaggi derivanti dalla efficacia degli statuti nei confronti dei terzi (e non solo della controparte contrattuale).

Al fine di verificare in concreto tale teorica conclusione è stato analizzato un campione di oltre 80 statuti di portfolio companies italiane di operatori di private equity acquisite nel periodo 2008-2011. In particolare la ricerca è stata finalizzata a determinare se, in che misura ed eventualmente in dipendenza di quali variabili gli operatori di private equity si siano effettivamente avvalsi della maggiore flessibilità sul contenuto degli statuti consentita dalla riforma del diritto societario.

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