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Un’opportunità per fronteggiare le conseguenze socio-economiche della diffusione del Covid-19 è rappresentata dalla possibilità di destinare a tal fine una parte dei fondi europei diretti e indiretti stanziati nel ciclo di programmazione 2014-2020. Si discute, tuttavia, di quale sia la modalità migliore per realizzare il riassetto dei programmi esistenti, in particolare in merito al Fondo europeo di sviluppo regionale (FESR), al Fondo sociale europeo (FSE) e al Fondo di coesione. Seppur le misure finora adottate (e in via di adozione) a livello europeo si muovano principalmente verso l’estensione delle tipologie di spesa riconducibili ai singoli fondi introducendo specifiche previsioni legate al Covid-19, permane il dibattito, tanto a livello europeo quanto a livello nazionale, sull’opportunità di svincolare completamente i fondi europei dagli assi prioritari e dai legami territoriali indicando come destinazione la gestione della crisi.
Lo stato dell’arte a livello europeo
La Commissione europea sta lavorando a delle proposte volte a ricavare le risorse necessarie per fronteggiare le conseguenze economiche della diffusione del Covid-19 attraverso un riassetto dei fondi europei stanziati nel ciclo di programmazione 2014-2020. Una prima iniziativa, c.d. Coronavirus Response Investment Initiative (CRII), riguarda l’investimento di 37 miliardi di euro da destinare ai sistemi sanitari, alle PMI, ai mercati del lavoro e ad altre parti vulnerabili delle economie degli Stati membri grazie ad un sostanziale riassetto di quanto previsto nel quadro della politica di coesione.
Come si legge già nella lettera scritta il 18 marzo 2020 dai commissari Elisa Ferreira e Nicolas Schmit indirizzata ai ministri degli Stati membri, il CRII si basa su un’immediata iniezione di liquidità nelle casse dei governi e sulla possibilità di ricondurre le spese legate all’emergenza in corso nell’ambito dei fondi strutturali già assegnati. In merito a quest’ultimo aspetto, agli Stati membri sarà consentito di (i) usare il FESR per far fronte agli shock finanziari a breve termine, in particolare per quanto riguarda le PMI e i settori particolarmente colpiti dalla crisi, (ii) usare il FSE per sostenere temporaneamente i regimi nazionali di lavoro a orario ridotto, (iii) usare sia il FESR sia il FSE per le spese relative al sistema sanitario (e.g. acquisto di dispositivi sanitari e di protezione, prevenzione delle malattie, sanità elettronica, dispositivi medici, etc.). Inoltre, i fondi strutturali inutilizzati nel periodo 2014-2020 potranno essere impiegati dai Paesi membri per la lotta contro la crisi (fattore estremamente rilevante per l’Italia che al momento ha utilizzato solo il 31% dei fondi disponibili) e la Commissione applicherà con la massima flessibilità le norme sulla spesa per la coesione, così da accelerare l’attuazione delle misure.
Tale proposta da parte della Commissione europea ha ricevuto parere favorevole dal Parlamento europeo e dal Consiglio portando all’adozione, avvenuta il 30 marzo 2020, del Regolamento (UE) 2020/460 e del Regolamento (UE) 2020/461. Il primo modifica le disposizioni comuni relative ai Fondi strutturali e di investimento europei (in particolare FESR e FEAMP) per quanto riguarda le misure specifiche volte a mobilitare gli investimenti nei sistemi sanitari degli Stati membri e in altri settori delle loro economie in risposta all’epidemia di Covid-19. Il secondo, invece, interviene sul Fondo di Solidarietà dell’Unione Europea (FSUE) al fine di fornire assistenza finanziaria agli Stati membri e ai paesi che stanno negoziando la loro adesione all’Unione colpiti da una grave emergenza di sanità pubblica. Per garantire una risposta immediata alle conseguenze dell’epidemia, le spese sostenute fin dal 1 febbraio 2020 per le operazioni in risposta alla crisi saranno addebitabili ai fondi strutturali così come modificati dai Regolamenti. È ancora in corso di adozione, invece, un secondo pacchetto di misure, c.d. Coronavirus Response Investment Initiative Plus (CRII+), volto principalmente (i) a sostenere gli indigenti attraverso la modifica delle norme del Fondo di aiuti europei agli indigenti (FEAD), ad esempio finanziando al 100% per l’esercizio contabile 2020-2021 misure come la distribuzione di aiuti alimentari e la fornitura di assistenza materiale di base, e (ii) ad una riassegnazione più flessibile delle risorse finanziarie all’interno dei programmi operativi in ciascuno Stato membro insieme ad una procedura di modifica semplificata.
Tale processo di riprogrammazione coinvolge anche i fondi europei diretti, ossia quelli erogati direttamente dalla Commissione europea attraverso specifici programmi, come ad esempio Horizon 2020 dedicato alla ricerca e all’innovazione. Da un lato, i fondi stanziati per tale programma sono stati parzialmente destinati – attraverso una richiesta emergenziale di manifestazioni d’interesse – a finanziare progetti di ricerca che faranno progredire gli studi sull’epidemia e contribuiranno a una gestione clinica più efficiente dei pazienti; dall’altro, i bandi aperti nell’ambito di Horizon 2020 sono sotto costante modifica e proroga al fine di includere iniziative legate al Covid-19.
La destinazione dei fondi diretti è affidata anche a nuove call, come l’invito rapido a presentare proposte di ricerca per sviluppare trattamenti e diagnosi in risposta all’epidemia di COVID-19 pubblicato all’interno dell’Innovative Medicines Initiative (IMI), chiusosi il 31 marzo 2020 con 144 proposte.
Il dibattito sulla riorganizzazione dei fondi
Parallelamente alle misure assunte dalla Commissione europea, gli Stati membri si apprestano a individuare quali siano le strategie più opportune per fronteggiare la crisi. Tanto a livello sovranazionale quanto a livello statale non vi è accordo a riguardo, da un lato vi è chi sostiene la necessità di svincolare totalmente i fondi al fine di lasciare agli Stati la libertà di disporre dei finanziamenti a seconda delle esigenze sorte in seguito all’impatto dell’epidemia sul tessuto socio-economico nazionale; dall’altro, vi è chi ritiene che sia più opportuno preservare l’attuale assetto che destina i fondi a specifici ambiti prevedendo, all’interno di questi, la possibilità di sostenere le iniziative legate al Covid-19 in quanto compatibili.
Seguendo questo secondo approccio si discute, ad esempio, della possibilità di destinare una parte del FESR alle operazioni di riconversione delle PMI per la produzione di presidi sanitari o allo sviluppo di nuove attività legate alla produzione di beni necessari per la gestione dell’emergenza. Ancora, nel contesto del Fondo di coesione, potrebbero essere incentivate iniziative a supporto delle fasce più disagiate della popolazione le cui condizioni sono aggravate dalla crisi, oppure si potrebbe attingere al FSE per finanziare parte della cassa integrazione per i lavoratori. Tale approccio si mostra in linea con quanto attuato finora dalla Commissione europea, ma, come si è detto, non trova consenso unanime.
Una diversa visione del riassetto dei fondi prospetta la possibilità di eliminare completamente gli assi prioritari di programmazione fissando quale unico vincolo la gestione dell’emergenza Coronavirus. Il fine principale sarebbe quello di consentire un’immediata liquidità a livello nazionale e, soprattutto, regionale. In tal modo le risorse già destinate alle comunità locali potrebbero essere utilizzate, senza che ciò comporti ulteriore indebitamento, per gestire l’emergenza Covid-19 indipendentemente da quelli che erano stati definiti come assi prioritari. Inoltre, la possibilità di rendere più flessibile l’impiego dei fondi liberandoli dal vincolo territoriale, o meglio di gruppo di appartenenza (aree meno sviluppate, in transizione o più sviluppate), consentirebbe di destinarli alle aree più colpite dalla crisi. Una simile iniziativa necessita, però, del via libera di Bruxelles affinché le spese così svincolate possano essere giustificate nell’ambito della programmazione 2014-2020.
Tale riflessione è rilevante anche ai fini dell’individuazione delle priorità per la programmazione 2021-2027. Potrebbe essere opportuno, infatti, prevedere per gli Stati membri una maggiore autonomia nella gestione dei fondi anche nei prossimi anni affinché questi possano agire per la ricostruzione del tessuto produttivo e lavorativo, nonché in favore di un rilancio economico.
Tuttavia, le difficoltà palesatesi nel corso dei negoziati per la prossima programmazione hanno condotto la Commissione a riflettere sulla possibilità di prolungare di uno o due anni gli attuali programmi di politica di coesione, soprattutto al fine di evitare il rischio di interruzione dei finanziamenti a fronte della necessità di introdurre velocemente investimenti nell’economia. In entrambi i casi, permane l’interrogativo in merito all’approccio da seguire per svincolare i fondi e, se del caso, per un’eventuale modifica del processo di individuazione dei programmi e delle priorità 2021-2027 per garantire agli Stati membri una transizione graduale tra il periodo di programmazione attuale e il prossimo.