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Navigando sul web e utilizzando applicazioni per smartphone è sempre più comune imbattersi in chatbot e assistenti virtuali più o meno sofisticati in grado di interagire efficacemente con gli utenti, generando vere e proprie conversazioni, anche grazie allo sviluppo e all’implementazione di sistemi di intelligenza artificiale.
Il settore farmaceutico difficilmente potrà rimanere immune da questo cambio di paradigma nelle relazioni con gli utenti/pazienti e, infatti, anche in questo settore si stanno registrando i primi movimenti.
AI e attività promozionali in ambito farmaceutico: il quadro normativo
Il quadro normativo italiano è particolarmente restrittivo in tema di pubblicità di medicinali al pubblico, vietata come noto per i farmaci soggetti a prescrizione e fortemente regolamentata per i farmaci OTC e SOP.
Pertanto, è difficile immaginare l’utilizzo di assistenti virtuali a fini promozionali, ad esempio nel contesto di siti dedicati a specifici prodotti, che siano farmaci o dispositivi medici.
Infatti, le caratteristiche della procedura autorizzatoria e dello stesso messaggio promozionale delineate dal Codice del farmaco (D.Lgs. n. 219/2006) e dalle relative linee guida ministeriali si scontrano con interazioni promozionali create e personalizzate in tempo reale dai sistemi di AI generativa anche per mezzo di assistenti virtuali.
In particolare, la preventiva autorizzazione del messaggio promozionale da parte del Ministero della Salute e la conseguente e necessaria “staticità” del messaggio, garantita dalla stessa autorizzazione preventiva che fa sì che il messaggio debba rimanere immutato a seguito del via libera ministeriale, appaiono allo stato totalmente inconciliabili con l’utilizzo di sistemi di AI generativa. D’altro canto, non sarebbe al momento neppure ipotizzabile un’autorizzazione del solo assistente virtuale utilizzato a scopi promozionali, in grado di generare i contenuti più vari, essendo il singolo messaggio il focus della procedura autorizzatoria.
Un limitato margine di manovra potrebbe essere immaginato laddove si utilizzasse questo strumento per fornire risposte a domande non sollecitate di terzi che, in quanto tali, potrebbero essere considerate non promozionali ai sensi del Codice del farmaco e quindi non soggette alla relativa normativa sulla pubblicità. Tuttavia, anche in questo caso, si porrebbero questioni problematiche legate alla tipologia di informazioni fornite ai pazienti su cui la società (e in particolare l’area medica) deve poter effettuare un assoluto controllo per garantirne la qualità e la scientificità.
Chatbot e AI: i casi d’uso di Amazon e Zalando
Numerosi siti web e app, a partire dagli e-commerce e sino alle piattaforme di sharing, hanno già implementato programmi in grado di simulare conversazioni con gli utenti mediante chat contenute in finestre di pop-up, spesso al fine di supportare gli utenti rispondendo alle domande più frequenti sul funzionamento del servizio (una versione più evoluta delle più tradizionali FAQ scritte) o fornire un primo livello di assistenza nel processo di acquisto o nella fruizione del servizio.
Trattasi in numerosi casi di programmi che interagiscono sulla base di uno schema di domande/risposte preimpostate, che dunque non possono travalicare gli ambiti di utilizzo per i quali sono stati programmati e non sono in grado di adattare la conversazione in relazione al singolo utente, non avendo accesso a fonti di dati in tempo reale.
In altri casi, invece, l’utente può trovarsi ad interagire con veri e propri assistenti virtuali con funzionalità molto più estese, in grado di fornire risposte complesse a domande generali non sulla base di un formulario preimpostato, ma attingendo da dati in real time e adattando le risposte anche sulla base delle preferenze del singolo utente già memorizzate in precedenza, sfruttando sistemi di intelligenza artificiale (AI) generativa e machine learning (ML). Si pensi ad esempio ad Alexa di Google o Siri di Apple, da tempo sul mercato.
Questi sistemi sono destinati a diffondersi sempre più nel contesto di siti web e applicazioni che offrono beni e servizi agli utenti. È notizia recente che Amazon sta testando un nuovo assistente virtuale agli acquisiti – “Rufus” – basato su AI generativa, che dovrebbe consentire agli utenti di condurre ricerche sui prodotti con modalità completamente nuove: ad esempio, formulando domande generali quali “di che tipo di prodotti necessito per eseguire una determinata attività” (dal giardinaggio allo sci), “quali caratteristiche considerare nell’acquisto di un prodotto per un determinato utilizzo” (prodotti tecnologici come gli auricolari per uso domestico), o ancora “che differenza c’è fra il prodotto 1 e il prodotto 2”, e ricevendo dal software risposte personalizzate anche sulla base delle proprie preferenze di acquisto.
Similmente, anche la nota piattaforma e-commerce Zalando è in procinto di lanciare un assistente agli acquisiti basato su IA generativa che sfrutterà l’altrettanto nota ChatGPT.
L’uso di chatbot nei siti di eCommerce
Posto che anche in quel contesto verrebbero in rilievo le medesime criticità relative al potenziale contenuto promozionale dei messaggi prodotti da un chatbot, risulta altresì fondamentale in quella sede garantire la possibilità per gli utenti di chiedere informazioni e interagire con farmacisti, anche in relazione a prodotti e consigli di acquisto, come se ci si trovasse in una farmacia fisica. Pertanto, la domanda che ci si pone è fino a che punto uno strumento automatizzato come un chatbot possa sostituirsi a un farmacista in carne ed ossa nel fornire tale servizio.
Possiamo immaginare che un simile strumento possa fornire risposte in relazione alle modalità di svolgimento del servizio, come effettuare ordini, prezzo e trasporto, mentre bisogna prestare molta attenzione laddove le domande abbiano oggetto farmaci o consigli medici, in quanto tali strumenti non possono sostituire l’intervento – seppure da remoto – di un professionista sanitario, che sia un medico o un farmacista.
Senza contare che, in tutti i casi in cui gli utenti sono liberi di fornire contenuti attraverso canali digitali sotto il controllo di una società farmaceutica, in capo a tale società sorgono obblighi relativi alla normativa sulla farmacovigilanza. Le linee guida sulle Good Pharmacovigilance Practices (Gvp) infatti prevedono esplicitamente l’onere per i titolari di autorizzazioni all’immissione in commercio di farmaci di eseguire con cadenza regolare verifiche e controlli sui canali sotto la loro gestione o responsabilità, per ricercare potenziali segnalazioni di reazioni avverse da notificare all’autorità.
Assistenti virtuali AI e supporto ai pazienti
È possibile altresì immaginare l’utilizzo di assistenti virtuali e AI nell’erogazione di servizi e attività di supporto in favore di utenti e pazienti, senza alcuna finalità promozionale diretta o indiretta di prodotti farmaceutici.
Questo potrebbe avvenire, ad esempio, nel contesto di Patient Support Programs (PSP) sponsorizzati dalle aziende farmaceutiche ed erogati tramite provider terzi ai pazienti in cura con i loro prodotti, secondo le indicazioni fornite dal Codice deontologico di Farmindustria. Pensiamo, ad esempio, a un servizio di “caregiver digitale” di supporto al paziente durante una terapia. Anche in questa ipotesi si porrebbero le medesime questioni evidenziate in precedenza in relazione alla possibilità di controllo delle interazioni con i pazienti, per evitare che l’assistente virtuale effettui diagnosi o fornisca consigli riservati a professionisti sanitari, oltre alle responsabilità relative alla farmacovigilanza.
Chatbot e dispositivi medici
Da ultimo, più i sistemi di AI divengono sofisticati, quanto più vi è il “rischio” che i relativi software ricadano nella definizione di dispositivo medico e debbano quindi ottenere la relativa certificazione e rispettare le relative norme europee e nazionali, a partire dal Regolamento (UE) 2017/745 (MDR) e dalle numerose linee guida emanate dal Medical Device Coordination Group (MDCG)[1]. Ricordiamo infatti che qualora l’assistente virtuale, attraverso l’analisi e la rielaborazione dei dati forniti dagli utenti/pazienti (referti caricati sulla piattaforma, informazioni derivanti dalla compilazione di questionari), sia in grado di fornire all’utilizzatore un riscontro sotto forma di diagnosi, prevenzione, monitoraggio, trattamento o attenuazione di stati patologici e fisiologici, dovrebbe qualificarsi come dispositivo medico secondo la definizione fornita dall’art. 2 MDR.
Inoltre, con l’approvazione e la piena applicazione del Regolamento europeo sull’intelligenza artificiale (AI Act), software dotati di sistemi di AI – se qualificati come dispositivi medici – si troverebbero ad essere classificati come “ad alto rischio” ai fini dell’AI Act e sarebbero soggetti a un’ulteriore valutazione di conformità anche ai sensi dell’AI Act[2].
Conclusioni
Le difficoltà e gli ostacoli alla diffusione di questi strumenti nel settore farmaceutico sono evidenti ma altrettanto chiare sono le opportunità per il miglioramento e la personalizzazione dell’assistenza ai pazienti, che certamente porteranno a un loro rapido sviluppo negli anni a venire.
[1] Sul tema della qualificazione di un software come dispositivo medico, in particolare le guidelines MDCG 2019-11 https://health.ec.europa.eu/document/download/b45335c5-1679-4c71-a91c-fc7a4d37f12b_en?filename=md_mdcg_2019_11_guidance_qualification_classification_software_en.pdf.
[2] https://portolano.it/news/ai-act-quale-impatto-sullindustria-dei-medical-devices.