L’hard disk del futuro: il Dna

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20 Luglio 2017

Questo articolo è stato pubblicato su AboutPharma Online il 20 luglio 2017.

Recentemente diversi organi di stampa hanno riportato la notizia – a dir poco fantascientifica – che alcuni ricercatori dell’università di Harvard, utilizzando l’ormai nota, ma sempre rivoluzionaria, tecnica CRISPR-Cas9, sono riusciti a “caricare” sul Dna di un batterio e. coli l’immagine gif animata di un cavallo al galoppo e quella statica di una mano.
Le immagini originali caricate sul Dna del batterio, e quelle poi scaricate mediante sequenziamento del genoma del microbo, sono visibili qui.
L’utilizzo del Dna per la conservazione di dati e informazioni pare essere vantaggioso per diversi motivi, uno dei quali è il fatto che diversi microorganismi, i batteri estremofili, sono in grado non solo di sopravvivere, ma addirittura di proliferare, in condizioni del tutto proibitive per gli esseri umani (temperature, pressione o pH estremi, presenza metalli pesanti, radiazioni, etc.). Con la conseguenza che i dati conservati sul Dna di questi batteri potrebbero rimanere al sicuro anche in caso di gravi disastri naturali. Il Dna è inoltre, di per sé, una molecola assai resistente, tanto che ne è possibile l’estrazione e il sequenziamento anche a distanza di migliaia di anni, come si fa ormai correntemente in paleontologia.

Dal punto di vista scientifico si tratta di un grande risultato, soprattutto perché, a quanto sembra, è la prima volta che questo sistema viene impiegato con successo utilizzando il Dna reale, di cellule viventi: in precedenza era riuscito solo il caricamento di dati su Dna sintetico, prodotto appositamente allo scopo. E questo apre le porte all’utilizzo anche delle cellule umane, e quindi anche alla possibilità che, in un futuro che viene perlopiù considerato ancora remoto, ciascun essere umano conservi nel proprio corpo tutti i dati che lo riguardano, e magari anche quelli lasciati in “eredità” dai suoi familiari o amici defunti.
Questo nuovo sistema di conservazione ci pone però anche di fronte a una serie di incognite e a scenari che potrebbero sollevare diversi temi.
Così come l’avvento dei computer e il loro ruolo ormai imprescindibile nella vita di tutti i giorni ci fa temere i virus informatici quasi quanto quelli biologici, ci chiediamo cosa potrebbe accedere se un microorganismo patogeno potesse non solo far ammalare o uccidere un essere umano, ma anche cancellare i dati che questi conserva dentro di sé. D’altro canto, in questo caso non basterebbe un antivirus a risolvere il problema, e non si potrebbe certamente “spegnere” l’hard disk umano per evitare la propagazione del contagio. A livello anche più semplice, ove i dati venissero conservati sul DNA di batteri, come è stato fatto, gli hacker potrebbero sviluppare virus biologici in grado di infettare tali batteri, per ucciderli e per cancellarne tutti i dati. I rischi connessi a questa pratica potrebbero spingere i legislatori ad adottare misure drastiche, suscettibili di incidere anche sulle libertà fondamentali dell’individuo, ma per tutelare beni – i dati – a tali libertà certamente sotto ordinati.

L’utilizzo del Dna batterico come hard disk potrebbe anche rendere del tutto incontrollabile la circolazione dei dati, dal momento che questi microorganismi si replicano molto velocemente e, dopo una fase di adattamento all’ambiente, hanno una fase di crescita esponenziale, nel corso della quale la popolazione raddoppia a intervalli di tempo piuttosto ravvicinati. Bisognerà adottare sistemi che impediscano alla cellula hard disk di trasferire alla sua progenie i dati caricati sul suo Dna.
Ove i dati fossero conservati su Dna umano, sorgerebbe anche inevitabilmente il problema della loro qualificazione dal punto di vista giuridico. Il fatto che i dati siano legati a un supporto come il Dna, che costituisce il dato personale e sensibile per antonomasia, e la necessità di estrarre e sequenziare l’acido nucleico per poterli scaricare, potrebbe indurre a considerarli essi stessi dati personali e sensibili, con evidenti problemi in relazione al loro trattamento e alla loro conservazione.
Il tempo in cui, per salvare file elettronici, anziché portare con noi una memoria usb ci porteremo una fiala piena di batteri sembra ancora lontano. E la prassi di farci consegnare una pillola da ingerire per caricare i file sul nostro Dna pare davvero essere ancora fantascienza. Ma ci sembra che inevitabilmente scenari simili si presenteranno, e quando succederà andranno necessariamente gestiti e regolati.

Articolo inserito in: AboutPharma, Life Sciences-Healthcare
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