Ai, le autorità Ue la useranno contro comportamenti anticoncorrenziali su prezzi e gare pubbliche

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21 Settembre 2018

Questo articolo è stato pubblicato su AboutPharma online il 21 settembre 2018.

Con lo sviluppo dell’economia digitale si sono sviluppate anche le tecniche utilizzate dalle imprese per definire i prezzi dei propri prodotti e servizi. Sofisticati e intelligenti algoritmi applicati ai Big data, ovvero a grandi volumi di dati sulla domanda e offerta di beni rastrellati dalle piattaforme internet sociali e di ricerca o da imprese specializzate, sono in grado di produrre modelli di prezzo ottimale per ogni giorno o ora della giornata e persino per ogni specifico gruppo di acquirenti o per una specifica gara o asta competitiva.
Sennonché, l’incredibile sviluppo raggiunto da queste tecnologie ha destato le preoccupazione delle autorità antitrust di tutto il mondo, e in particolare di quelle europee, per i rischi che esse comportano per la concorrenza. In effetti, non è difficile immaginare, in quanto già accade, che le imprese utilizzino questi strumenti per controllare in tempo reale i prezzi offerti (su internet e non) dai propri concorrenti e dai rivenditori e così automaticamente adattare i propri prezzi di conseguenza, con il fine, ovviamente, di massimizzare il proprio profitto. Ma cosa accade se i vari algoritmi utilizzati dai concorrenti cominciano a colludere allineandosi su prezzi più alti per aumentare i profitti?

Contro il rischio di cartello

Nessun dubbio che un simile comportamento, se fosse il risultato di una programmazione degli algoritmi consapevolmente deliberata dalle aziende stesse di concerto tra loro, costituirebbe un cartello illegale (per cui le imprese perpetuatrici potrebbero essere multate severamente dalle autorità di concorrenza, oltre che condannate a risarcire il maggiore esborso sopportato dai compratori diretti e indiretti). Ma se invece fossero gli algoritmi stessi che, attraverso i meccanismi dell’intelligenza artificiale che si auto-corregge in base ai risultati empirici dell’esperienza pregressa, adottassero una risposta “collusiva” senza l’intervento o la consapevolezza delle imprese? Se, in altri termini, fossero i “robot” a colludere, è quantomeno dubbio se non da escludere che, in base alle regole di concorrenza attualmente vigenti come applicate dalla giurisprudenza, alle imprese che ne beneficiano possa essere imputata la responsabilità un’intesa anti-concorrenziale vietata.

Gli “anticorpi” delle autorità di controllo

Ciò detto, le autorità di concorrenza europee in questi anni si sono adoperate per studiare il funzionamento dei mercati che fanno intenso uso dei Big data e degli algoritmi e preparare così il proprio strumentario per intervenire a difesa del mantenimento della concorrenzialità dei mercati (digitali e non). In particolare, oltre alle autorità tedesca, francese e olandese, la nostra Autorità garante della concorrenza e del mercato (Agcm), insieme al Garante della privacy e all’autorità delle comunicazioni (Agcom), ha avviato un’indagine conoscitiva nel settore dei Big data per identificare le dinamiche commerciali ad essi legate e le possibile disfunzioni della concorrenza che possono derivarne (una prima tranche dei risultati di questa indagine è già disponibile qui).

Algoritmo contro algoritmo

La Commissione europea, dal canto suo, ha analizzato il fenomeno a livello europeo nelle risultanze della sua indagine settoriale sull’e-commerce (pubblicate nel maggio 2017).
Ma non solo. Di recente la Commissione europea, per voce della sua commissaria alla concorrenza Margrethe Vestager, ha annunciato che la rete delle autorità di concorrenza europee (radunate sollo il cappello dello European competition network) sta mettendo a punto uno strumentario tecnologico per rispondere alla minaccia degli algoritmi collusivi con la stessa arma, ovvero altri algoritmi. In particolare, la Commissione avrebbe assoldato un team di specialisti per studiare il funzionamento e le potenzialità degli algoritmi per un uso simile a quello che ne fanno le imprese, ma finalizzato ad obiettivi opposti, cioè individuare i beni e le imprese loro produttrici o distributrici che sfruttano gli algoritmi di prezzo per ridurre il rischio dovuto all’incertezza sul comportamento commerciale dei concorrenti e ottenere così profitti sopra-competitivi, a scapito del benessere dei consumatori.
Se opportunamente programmati e informati da strumenti di Ai, gli algoritmi sono infatti utili a individuare un andamento anomalo o “artificialmente intelligente” nei prezzi offerti su internet o, ad esempio, nelle offerte fatte in gare periodiche tra concorrenti. Laddove tale andamento anomalo si accompagni ad altri elementi che rendano implausibile che esso sia il risultato di un genuino adattamento intelligente di ciascuna impresa al comportamento degli altri concorrenti, ma più probabilmente il risultato di un coordinamento consapevole tra i concorrenti, oppure tra i loro algoritmi di prezzo, ecco che potrebbe essere aperta un’indagine per accertare le responsabilità di tali imprese.

Le gare pubbliche

Uno degli ambiti in cui l’Agcm sembra volere fare uso intenso di tali tecnologie è quello delle gare pubbliche per la fornitura di beni e servizi, soprattutto per quei settori che incidono notevolmente sulla spesa pubblica, ovvero principalmente il settore sanitario e ospedaliero. Negli ultimi anni l’attività inquirente e sanzionatoria dell’Agcm nel settore degli appalti pubblici si è notevolmente intensificata e sono stati stipulati protocolli di intesa per lo scambio di informazioni e la collaborazione nelle indagini con l’Anac e le procure. Tra l’altro, il nuovo codice degli appalti prevede che il previo accertamento di un’infrazione della concorrenza può costituire motivo di esclusione dalla possibilità di partecipare a gare future.

L’aspetto probatorio: un nodo da sciogliere

Si è tuttavia formata una giurisprudenza non uniforme su quali infrazioni della concorrenza possono determinare l’esclusione dalle gare, sulle circostanze che possono essere ritenute a spiegare con giustificazioni plausibili certi comportamenti apparentemente collusivi, come la mancata partecipazione a certe gare o per certi lotti o per offerte apparentemente complementari tra concorrenti, o costantemente in aumento o manifestamente non competitive. Perciò, sebbene l’uso degli algoritmi e della Ai da parte delle autorità di concorrenza possa essere utile a scopo investigativo per individuare e selezionare i casi più preoccupanti sotto l’aspetto economico, è tutto da valutare quale peso probatorio tali strumenti possano avere in un giudizio rispetto all’accertamento di un cartello o di intese anticoncorrenziali tra le imprese.

Articolo inserito in: AboutPharma, Life Sciences
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