In vigore anche in Italia il divieto assoluto delle clausole di parità di prezzo nel settore alberghiero

Con la legge annuale di concorrenza n. 124 del 4 agosto 2017, è stato introdotto anche in Italia il divieto assoluto di introdurre clausole di parità di prezzo (clausole di cliente favorito o Most Favored Nation, in seguito “MFNs”) negli accordi tra piattaforme di prenotazione (note come Online Travel Agents, in seguito “OTAs”, quando operano prevalentemente su internet) e strutture alberghiere. La legge, incluso il divieto di MFNs in questione, è in vigore dal 29 agosto u.s.

Le MFNs sono clausole tramite le quali gli hotel si impegnano verso le piattaforme di prenotazione a cui sono affiliate a non offrire sui propri canali diretti o su altre piattaforme prezzi o altre condizioni per il pernottamento più vantaggiose o favorevoli per il consumatore.

Il divieto di MFNs è previsto dal comma 166 dell’articolo 1 della legge citata, che recita:

“È nullo ogni patto con il quale l’impresa turistico-ricettiva si obbliga a non praticare alla  clientela finale, con qualsiasi modalità e qualsiasi strumento, prezzi, termini e ogni altra condizione che siano migliorativi rispetto a quelli praticati dalla stessa impresa per il tramite di soggetti terzi, indipendentemente dalla legge regolatrice del contratto.”

Questa previsione normativa rientra in un set di norme finalizzate ad aprire alcuni mercati ad una maggiore concorrenza. La legge sopra citata, incluso il divieto di MFNs, era stata annunciata nel febbraio 2015 ed è stata sottoposta ad un dibattito durato anni che ne ha rinviato l’approvazione. Durante questo periodo, il Presidente dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) Giovanni Pitruzzella ha apertamente criticato la proposta di divieto assoluto di MFNs, ritenendo un tale ampio divieto non necessario ad aprire il settore turistico-recettivo a maggiore concorrenza e comunque sproporzionato – e quindi incompatibile con il diritto UE. Secondo l’opinione espressa dell’AGCM, un divieto assoluto sarebbe sproporzionato rispetto all’obiettivo di rendere più competitivo il settore alberghiero nella misura in cui impedisce alle OTAs di limitare la facoltà degli hotel affiliati di offrire condizioni più favorevoli per i consumatori anche per il tramite dei propri canali di vendita diretti (come ad esempio i siti web degli hotel), e non solo per il tramite di piattaforme di terzi, con ciò trascurando gli effetti negativi che una tale pratica avrebbe sugli investimenti delle OTAs per aumentare la visibilità e la platea di clienti degli hotel (cd free-riding).

Le MFNs che proibiscono agli hotel solamente di offrire condizioni migliori sui propri canali diretti (in particolare il proprio sito web o per telefono o contatto email diretto), ma non su piattaforme (in particolare le OTAs) di terzi soggetti, sono definite “MFN ristrette”, in contrapposizione alle MFNs che proibiscono agli hotel di offrire condizioni migliori anche su piattaforme terze, denominate “MFNs ampie”.

In effetti, le MFNs ristrette sono state ritenute compatibili con il diritto della concorrenza (in particolare con il divieto di intese anticoncorrenziali di cui all’art. 101 del TFUE) ad esito di specifiche indagini antitrust condotte parallelamente nel 2014, sotto il coordinamento e la supervisione della Commissione europea, dall’AGCM e dalle omologhe francesi e svedesi contro le piattaforme Booking.com ed Expedia. Di contro, le medesime autorità antitrust nel corso di quei procedimenti hanno ritenuto che le MFNs “ampie” potrebbero essere contrarie al divieto di accordi anticoncorrenziali e hanno perciò indotto le predette piattaforme a impegnarsi a non introdurre o fare applicare MFNs ampie nei termini di servizio con gli hotel, consentendo però loro di mantenere le MFN ristrette. La ratio della decisione di consentire le MFNs ristrette risiedeva proprio nella convinzione che tali clausole fossero probabilmente indispensabili e proporzionate all’obiettivo di evitare che gli hotel possano “parassitare” e disincentivare gli ingenti investimenti perpetuati dalle OTAs’ per migliorare e rendere più fruibili per i consumatori i servizi di prenotazione alberghiera, aumentando al contempo la visibilità e la platea di utenti per gli hotel. Se infatti gli hotel possono liberamente offrire prezzi più bassi sul proprio sito internet rispetto alle medesime camere da essi offerte sulle OTAs a cui sono affiliate, gli utenti potranno facilmente sfruttare le OTAs per la sola fase, gratuita, di ricerca degli alloggi, per poi però prenotare direttamente sul sito web dell’hotel selezionato, così privando le OTAs della commissione di servizio sulla prenotazione, grazie alla quale remunerano i propri investimenti.

Ciononostante, poco dopo la conclusione dei predetti procedimenti, e a dispetto del loro identico esito, la Germania e la stessa Francia (poi seguite dall’Austria e dalla Svizzera) hanno introdotto per legge un divieto assoluto di MFNs nel settore turistico-alberghiero, proibendo così tanto le MFN ampie quanto quelle ristrette. L’Italia, come anticipato, ha seguito il medesimo esempio, in aperto contrasto con il parere espresso dall’AGCM. La lettera della norma sopra citata infatti, seppure non brilli per immediatezza, non è circoscritta alle sole MFNs ampie e sembra invece vietare anche quelle ristrette.

Va quindi segnalato che qualsiasi tentativo da parte delle strutture alberghiere di fare applicare il divieto di MFNs ristrette – offrendo quindi condizioni migliori tramite i propri canali diretti rispetto a quelle offerte tramite le OTAs con cui collaborano e violando così gli impegni contrattuali con le OTAs stesse (qualora abbiano mantenuto le MFNs ristrette nei propri termini di servizio) – potrebbe in teoria essere comunque represso o sanzionato dalle OTAs sulla base dell’argomento che il divieto assoluto previsto dalla norma nazionale sarebbe nullo e inapplicabile per contrarietà a superiori principi di diritto UE, in particolare quello della libera circolazione dei servizi (digitali e non) all’interno del Singolo Mercato: la giurisprudenza della Corte di Giustizia della UE in materia di libera circolazione e concorrenza riconosce infatti la natura restrittiva (e quindi vietata) di una norma nazionale quando essa rende “meno attrattivo” fornire un determinato servizio in uno Stato membro per via della sproporzione di quella norma, o del modo in cui viene interpretata, rispetto all’obiettivo pubblico perseguito.

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