Linee guida dell’Article 29 Data Protection Working Party sul diritto all’oblio dopo la sentenza della Corte di Giustizia nel caso Google Spain

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15 Gennaio 2015
Il 26 novembre 2014 l’Article 29 Data Protection Working Party (organo consultivo indipendente istituito in conformità all’articolo 29 della Direttiva 95/46/CE sulla protezione dei dati personali – di seguito “Working Party”) ha pubblicato delle linee guida (“Linee Guida”) per l’implementazione della pronuncia della Corte di Giustizia resa nel caso Google Spain SL, Google Inc. c. Agencia Española de Protección de Datos, Mario Costeja González (causa C−131/12) (in argomento, si veda la newsletter di giugno 2014).

Ricordiamo che la pronuncia citata ha previsto l’obbligo, per un motore di ricerca (nel caso di specie, Google), di rimuovere dai propri risultati (cd. “deindicizzazione”) i link a quei siti che siano ritenuti dagli interessati lesivi del loro “diritto all’oblio” (o “right to be forgotten”), ossia della pretesa a ottenere la cancellazione dei contenuti delle pagine web che, secondo l’interessato, offrono una rappresentazione non più attuale della propria persona. Nel caso in cui il motore di ricerca non accolga la richiesta, l’interessato potrà rivolgersi all’autorità nazionale per la protezione dei dati personali o all’autorità giudiziaria.

Le Linee Guida forniscono una serie di chiarimenti relativi alla pronuncia e alle modalità con cui le autorità nazionali sulla protezione dei dati personali, riunite nel Working Party, intendono implementarla.

In primo luogo, con riferimento all’oggetto della rimozione, si precisa che la pronuncia della Corte di Giustizia concerne soltanto i risultati ottenuti attraverso ricerche svolte sulla base del nome di una determinata persona. In questo senso, l’informazione originale potrà essere ancora accessibile sul web impiegando altri termini di ricerca o attraverso un accesso diretto alla fonte originale dell’informazione. Inoltre, con riferimento all’ambito territoriale della deindicizzazione, si afferma che, al fine di tutelare adeguatamente i diritti degli interessati, essa non deve essere limitata ai domini europei (ad esempio, “.it”, “.eu”, ecc.) ma deve essere messa in atto su tutti i domini rilevanti, compreso il “.com”.

Si esclude, poi, la possibilità di richiedere la deindicizzazione ai motori di ricerca interni alle pagine web (ad esempio, quelli forniti all’interno di quotidiani online), in quanto, da un lato, questi ultimi raccolgono solo le informazioni contenute su specifiche pagine web, dall’altro, essi non creano profili completi degli interessati e i relativi risultati non possono pertanto pregiudicare in modo rilevante gli utenti. Per altro verso, si precisa che, nonostante la sentenza della Corte di Giustizia riguardi i motori di ricerca, i principi affermati dalla medesima possono trovare applicazione anche rispetto ad altri operatori.

Con riferimento alle modalità con cui richiedere la deindicizzazione, si chiarisce che quest’ultima può essere richiesta dagli interessati con qualunque mezzo. Il motore di ricerca che respinga una richiesta di deindicizzazione dovrà fornire all’interessato una sufficiente spiegazione delle ragioni del rifiuto e informare il medesimo in merito alla possibilità di rivolgersi all’autorità nazionale o agli organi giurisdizionali. Inoltre, si precisa che, al fine di esercitare i propri diritti verso il motore di ricerca, gli interessati non sono obbligati a contattare il gestore del sito. Si specifica altresì che le autorità nazionali, nel valutare le istanze degli interessati, verificheranno l’esistenza di un “chiaro collegamento” tra l’Unione europea e il l’interessato (ad esempio, avrà rilevanza, ai fini dell’accoglimento di una richiesta, se l’interessato sia cittadino o residente in uno Stato dell’UE).

Le Linee Guida chiariscono che i motori di ricerca non sono tenuti ad informare i gestori dei siti in merito alle richieste di deindicizzazione ricevute dagli interessati. Al tempo stesso, si riconosce che talvolta sarà necessario contattare il gestore del sito prima di assumere una decisione in merito alla richiesta, in particolare al fine di ottenere maggiori informazioni sulle circostanze della medesima.

Si suggerisce, poi, che le pagine del motore di ricerca riportino sempre e in modo permanente l’informazione secondo cui, a seguito di richieste di deindicizzazione di altri utenti, i risultati di ricerca potrebbero essere incompleti (al fine di evitare che gli utenti possano comprendere che una determinata persona ha presentato una richiesta di deindicizzazione).

Infine, le Linee Guida contengono una serie di criteri per orientare l’attività delle autorità nazionali nella gestione dei reclami degli interessati a seguito del mancato accoglimento, da parte del motore di ricerca, delle richieste di deindicizzazione, chiarendo che nessun criterio è di per sé determinante. Tra di essi, figurano:

  • la natura del richiedente (in particolare, la circostanza per cui il richiedente rivesta un ruolo di rilievo pubblico, come nel caso di personaggi politici, dovrebbe tendenzialmente orientare verso il diniego della richiesta di deindicizzazione);
  • la minore età al momento della pubblicazione dell’informazione, che dovrebbe favorire l’accoglimento di una richiesta di deindicizzazione;
  • l’attinenza dell’informazione all’ambito professionale o personale dell’interessato;
  • la possibilità che la disponibilità di un determinato risultato di ricerca arrechi pregiudizio all’interessato o metta a rischio la sicurezza dello stesso;
  • etc.

Il testo integrale delle Linee Guida è disponibile a questo link.

In Italia, nei mesi di novembre e dicembre 2014, il Garante Privacy ha adottato i primi provvedimenti (nella specie, nove) in merito a segnalazioni e reclami presentati da alcuni interessati dopo il mancato accoglimento, da parte di Google, di richieste di deindicizzare pagine web che riportavano dati personali ritenuti non più di interesse pubblico. Le richieste pervenute al Garante si riferiscono ad articoli relativi a vicende processuali ancora recenti e, in alcuni casi, non concluse.

In sette dei nove casi citati il Garante non ha accolto la richiesta degli interessati, ritenendo prevalente l’interesse pubblico ad accedere alle informazioni (si è rilevato, in particolare, come le vicende processuali descritte nelle pagine web contestate fossero troppo recenti, e come in alcuni casi i relativi procedimenti non si fossero ancora conclusi).

In due casi, invece, il Garante ha accolto la richiesta dei segnalanti, rilevando, in un caso, che i risultati di ricerca contestati includevano numerose informazioni eccedenti, riferite anche a persone estranee alla vicenda narrata, nell’altro, che la notizia pubblicata era inserita in un contesto idoneo a ledere la sfera privata dell’interessato. Il Garante ha quindi prescritto a Google, Inc. di deindicizzare le URL segnalate.

I provvedimenti del Garante Privacy, sopra citati, sono disponibili a questo link.

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