Disabilitazione dall’accesso e garanzie di utenti e provider. Le conclusioni dell’ag villalòn e il regolamento agcom #ddaonline

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26 Novembre 2013
Questa mattina la pubblicazione da parte dell’AG della Corte di Giustizia Pedro Cruz Villalòn delle conclusioni nella causa C-314/12 (UPC Telekabel  Wien contro Constatin Film) ha suscitato un certo clamore in rete e non, circa gli effetti sul dibattito in corso sul regolamento copyright di AGCOM.

Titoli apparsi su prestigiose testate come “Copyright, un provider può essere obbligato a chiudere un sito pirata” non hanno certo contribuito a fare chiarezza nel dibattito e, come spesso avviene, ci si è subito divisi su due fronti compatti e contrapposti.

Tra i sostenitori del regolamento che hanno accolto con soddisfazione l’apparente avallo alle proprie tesi operata della Corte di Giustizia e chi invece, ritiene che tali conclusioni non spostino di un millimetro i termini della questione, né possano rappresentare in alcun modo una conferma, diretta o indiretta, della compatibilità comunitaria dell’iniziativa regolatoria dell’Autorità.

Anzitutto è opportuno sottolineare come si tratti di conclusioni e non della decisione della Corte che, come noto, potrà confermare le stesse o andare in contrario, avviso motivando tale scelta.

In secondo luogo, l’aspetto “innovativo” – se proprio ne vogliamo trovare uno nelle conclusioni pubblicate oggi – non risiede certo nel riconoscimento che i provider di servizi di accesso possano essere destinatari di ordini di disabilitazione dall’accesso di siti che praticano pirateria massiva, quanto la considerazione che tali ordini, per essere compatibili con il framework comunitario, devono indicare le misure concrete che il provider deve adottare per impedire l’accesso a tali siti.

Del resto nessuno ha mai messo in dubbio che i provider di servizi di accesso possano essere destinatari di ordini di disabilitazione rivolti su siti determinati. Tanto si ricava dalle previsioni delle direttive 2000/31, 2001/29 e 2004/48. Ed, infatti, l’AG rispondendo alle prime due questioni pregiudiziali proposte non fa altro che compiere una ricognizione del diritto comunitario per concludere da un lato, che i provider che forniscono accesso ad internet possono essere destinatari di ordini da parte dell’autorità giurisdizionale volti ad inibire l’accesso a determinati siti anche in assenza di un rapporto contrattuale tra gestore del sito e provider, e sotto altro e concorrente profilo, come in ogni caso “[…] è evidente che l’intermediario che non abbia rapporti contrattuali con chi viola il diritto d’autore non può essere in alcun caso chiamato a rispondere incondizionatamete per porre fine alla violazione” (Cfr. paragrafo 58 delle Conclusioni).

L’aspetto di novità ed il passo avanti nell’elaborazione teorica sulle forme di protezione del copyright online a livello comunitario risiede nelle risposte che l’AG offre alla terza ed alla quarta questione pregiudiziale.

Su tali questioni l’AG si situa nel solco tracciato negli ultimi anni dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia (con riferimenti specifici alle decisioni SABAM) e concentra la propria attenzione sulla “qualità” e il livello di dettaglio che ordini di disabilitazione emanati da autorità giurisdizionali devono avere per risultare conformi con il diritto UE nell’ottica del bilanciamento tra tutti gli interessi coinvolti.

Impostazione che rappresenta la prospettiva ermeneutica privilegiata per risolvere gli apparenti contrasti esistenti tra le norme sulle responsabilità degli intermediari e le misure di protezione dei diritti di proprietà intellettuale in rete.

Sotto tale profilo l’AG chiarisce come “[…] vietare ad un provider in modo totalmente generale e senza prescrizione di misure concrete di consentire ai suoi clienti l’accesso ad un determinato  sito internet che viola il diritto d’autore” non risulta compatibile con il necessario bilanciamento dei diritti fondamentali degli interessati. 

E’ necessario dunque, che tra le varie misure tecnicamente possibili per inibire l’accesso ad un sito (blocco DNS, blocco IP, filtraggio attraverso server proxy) l’autorità giurisdizionale indichi con precisione la misura da adottare tenendo in considerazione tutti i diritti ed i soggetti coinvolti (titolare dei diritti, utenti, provider).

Ma come scegliere la misura appropriata, anche nella considerazione che le misure di blocco a livello DNS e IP risultano facilmente aggirabili? 

E’ questa la domanda che il giudice del rinvio pone alla Corte con la quarta questione.  L’AG, riprendendo la giurisprudenza della Corte, ricorda come tali misure devono risultare idonee al raggiungimento dell’obiettivo perseguito (tutela del diritto d’autore), non eccedenti rispetto a quanto necessario per conseguire l’obiettivo e non sproporzionate.

Sul primo profilo  l’AG conferma che misure di blocco possono essere considerate idonee a tutelare il diritto d’autore online.  Non convincono l’avvocato Villalòn le considerazioni svolte con riferimento alla facile aggirabilità dei sistemi di blocco.  Anche se aggirabili facilmente i sistemi di blocco sono, in ogni caso, idonei nella consapevolezza che non tutti gli utenti sono comunque, i grado di eludere il blocco ed una buona parte degli stessi vedendo il blocco decideranno di rinunciare ad accedere al sito.

Su tale aspetto personalmente dissento dalla ricostruzione dell’AG che, sia consentito, non appare considerare un altro aspetto rilevante nella valutazione dell’idoneità delle misure di blocco. Vale a dire gli effetti che pratiche ripetute di blocco sotto forma di DNS poisoning possono avere sul principio di universalità dei nomi di dominio che governa l’attuale infrastruttura di rete. Probabilmente la considerazione degli effetti sistemici negativi determinati dai sistemi di blocco in uno con la facile aggirabilità degli stessi, riconosciuta e confermata dallo stesso AG, avrebbero indotto quest’ultimo ad una diversa considerazione di tale requisito.

Ma tant’è.

Quanto ai due restanti requisiti, vale a dire necessità ed adeguatezza,  l’AG sollecitato dal giudice del rinvio si sofferma su taluni elementi che devono essere considerati nell’irrogazione della misura di blocco:

  • anzitutto, si devono considerare gli effetti in termini quantitativi dell’ordine di blocco;
  • in secondo luogo, occorre valutare complessità, costi e durata della misura – in considerazione di tali elementi non si può escludere che in ipotesi di misure di blocco particolarmente onerose le stesse appaiano sproporzionate e, quindi, si renda necessario farne sopportare l’onere economico ai titolari dei diritti piuttosto che ai provider (e qui l’AG sviluppa una delle suggestioni già emerse nelle decisioni SABAM.  Perché i provider debbono sopportare i costi della tutela di diritti altrui?);
  • in terzo luogo, si deve perseguire in via prioritaria l’autore della violazione e solo in via sussidiaria il provider;
  • infine, occorre tenere in debita considerazione i diritti fondamentali del provider, a più riprese evocati dall’AG soprattutto in termini di libertà d’impresa, ed il ruolo sociale dagli stessi svolto nel garantire l’esercizio del diritto di accesso alla rete che riveste un ruolo essenziale per l’accesso e la diffusione di informazioni.

L’individuazione di tali elementi, solo esemplificamente indicati dall’AG e suscettibili, dunque, di essere ulteriormente sviluppati alla luce del bilanciamento di interessi più volte evocato, rappresentano il portato innovativo delle conclusioni e risultano idonei a circondare di garanzie l’adozione da parte di autorità giurisdizionali di misure incisive sull’esercizio di diritti fondamentali quali le misure di blocco a livello DNS o di IP.

Come tali conclusioni possano influire o influenzare il dibattito sul regolamento di AGCOM è davvero difficile a dirsi.

Proviamo però a porci qualche domanda, non considerando il profilo della competenza AGCOM che appare, in ogni caso, dirimente e che non trova alcun riferimento nelle conclusioni che, occorre ricordare, fanno riferimento ad ordini emanati da organi dotati di potere giurisdizionale.

Nel prevedere la disabilitazione dell’accesso sotto forma di blocco DNS il regolamento AGCOM tiene conto dei criteri sottolineati dall’AG?  Sono garantite adeguatezza e proporzionalità? Sono considerati i costi e la durata di tali provvedimenti?  E’ prevista la possibilità di porre i costi a carico dei titolari dei diritti per evitare la possibilità sproporzione della misura?

Ad un’analisi delle previsioni del regolamento non sembra che tali elementi siano presi in considerazione, e le conclusioni rassegnate oggi possono forse rappresentare un’occasione ulteriore di riflessione per l’Autorità su un testo in più punti perfettibile.

Per chiudere due note più di colore.

Sembra che lo Special Rapporteur dell’ONU Frank La Rue raccolga più consenso e considerazione tra gli avvocati generali della Corte europea piuttosto che tra le società di gestione collettiva dei diritti nostrane. Prova ne è il ripetuto richiamo (vedasi nota 10 delle conclusioni) ai profili di accesso alle informazioni e pluralismo approfonditi dal Rapporteur nella sua recente attività di analisi e documentazione.

Seconda nota.  Sembra che il Governo italiano non consideri la possibilità che autorità indipendenti possano emanare ordini di inibizione.  Al paragrafo 64 delle conclusioni si legge: “L’Italia […] considera sostanzialmente un compito dei giudici nazionali esaminare nel caso specifico, il  tipo di provvedimento inibitorio in considerazione di determinati requisiti, in particolare del principio di proporzionalità e di un giusto equilibrio tra i diritti degli interessati”.  Svista o serio convincimento non sappiamo! I prossimi mesi ci consentiranno di svelare l’arcano.

Pubblicato su medialaws.eu

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