Motori di ricerca e diritto all’oblio - Corte di Giustizia nel caso Google Spain

16 Giugno 2014
La Corte di Giustizia dell’Unione europea si è pronunciata, in data 13 maggio 2014, in relazione al caso Google Spain SL, Google Inc. vs Agencia Española de Protección de Datos, Mario Costeja González (causa C−131/12).

All’origine della vicenda vi è una richiesta con la quale un cittadino spagnolo aveva cercato di ottenere, prima dal gestore del sito e poi da Google, la rimozione di alcuni dati personali pubblicati su un articolo di giornale ritenuti non più attuali. Su ricorso dell’interessato, l’Agencia Española de Protección de Datos (AEPD) (l’autorità spagnola per la protezione dei dati personali), aveva ordinato a Google di rimuovere i dati in questione dai risultati generati attraverso il motore di ricerca.  Google aveva rifiutato di ottemperare alla richiesta rilevando, tra l’altro, come l’intervento imposto dall’AEPD potesse configurare un’indebita compromissione della libertà di espressione dei gestori di siti Internet. La Corte suprema spagnola (Audiencia Nacional), investita dell’appello contro il provvedimento dell’AEPD, sollevava pertanto di fronte alla Corte di Giustizia alcune questioni pregiudiziali relative (i) all’applicabilità della Direttiva 95/46/CE sulla protezione dei dati personali a fornitori di servizi come Google e (ii) al cd. “diritto all’oblio” dei soggetti cui i dati personali si riferiscono. L’Avvocato Generale della Corte di Giustizia Jääskinen ha reso, in data 25 giugno 2013, le proprie conclusioni con riferimento al caso. Per una sintesi del contenuto delle conclusioni dell’Avvocato generale, si veda la Newsletter di luglio 2013.

Con la sentenza in esame la Corte di Giustizia, similmente a quanto sostenuto dall’Avvocato generale, afferma che costituisce “trattamento di dati personali” l’attività di un motore di ricerca consistente nel trovare informazioni pubblicate o inserite da terzi su Internet, nell’indicizzarle in modo automatico, nel memorizzarle temporaneamente e, infine, nel metterle a disposizione degli utenti di Internet secondo un determinato ordine di preferenza, qualora tali informazioni contengano dati personali. Tuttavia, a differenza di quanto affermato dall’Avvocato generale, la Corte sostiene che il gestore del motore di ricerca deve essere considerato “titolare” del menzionato trattamento, in quanto ne determina le finalità e gli strumenti.

Con riferimento all’ambito di applicazione territoriale della normativa sulla protezione dei dati personali, la Corte osserva che Google Spain costituisce una filiale di Google, Inc. nel territorio spagnolo e, pertanto, uno “stabilimento” ai sensi della Direttiva 95/46/CE sulla protezione dei dati. Al riguardo, la Corte considera che, quando dati siffatti vengono trattati per le esigenze di un motore di ricerca gestito da un’impresa che, sebbene situata in uno Stato terzo, dispone di uno stabilimento in uno Stato membro, il trattamento viene effettuato “nel contesto delle attività” di tale stabilimento, ai sensi della Direttiva, qualora quest’ultimo sia destinato ad assicurare, nello Stato membro in questione, la promozione e la vendita degli spazi pubblicitari proposti sul motore di ricerca al fine di rendere redditizio il servizio offerto da quest’ultimo.

Inoltre, la Corte afferma che il gestore di un motore di ricerca è obbligato a sopprimere, dall’elenco di risultati che appare a seguito di una ricerca effettuata a partire dal nome di una persona, alcuni link verso pagine web pubblicate da terzi e contenenti informazioni relative a questa persona, anche nel caso in cui tale nome o tali informazioni non vengano previamente o simultaneamente cancellati dalle pagine web di cui trattasi, e ciò anche nel caso in cui la loro pubblicazione su tali pagine web sia di per sé lecita.

Infine, interrogata sulla questione relativa alla portata del cd. “diritto all’oblio” degli interessati, la Corte afferma che occorre verificare, in particolare, se l’interessato abbia diritto a che informazioni riguardanti la sua persona non vengano più, allo stato attuale, collegate al suo nome da un elenco di risultati che appare a seguito di una ricerca effettuata a partire dal suo nome. Qualora si verifichi un’ipotesi siffatta, i link verso pagine web contenenti tali informazioni devono essere cancellati dall’elenco dei risultati di ricerca, a meno che sussistano ragioni particolari, come il ruolo ricoperto da tale persona nella vita pubblica, giustificanti un interesse preminente del pubblico ad avere accesso a dette informazioni. La Corte precisa che la persona interessata può rivolgere domande siffatte direttamente al gestore del motore di ricerca (anche quando nessun ordine di rimozione sia stato formulato nei confronti del gestore del sito) che deve in tal caso procedere ad un debito esame della loro fondatezza. In caso di mancato riscontro a tali richieste, l’interessato può adire l’autorità di controllo o l’autorità giudiziaria affinché queste effettuino le verifiche necessarie e ordinino al suddetto gestore l’adozione di misure precise conseguenti.

Il testo integrale della sentenza è disponibile a questo link.

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